New York. Ieri mattina, al Senato americano, è finito il Partito repubblicano. Così, almeno, sostengono i settori più illuminati del mondo conservatore statunitense, dal Wall Street Journal al Weekly Standard, impegnati da tempo in una dura battaglia intellettuale contro i conduttori dei talk show radiofonici, gli studi della Heritage Foundation e l’ala destra della Right Nation. E’ successo che il Congresso di Washington non è riuscito a trovare i voti necessari a superare l’ostruzionismo di una buona parte dei senatori repubblicani, ma anche di una mezza dozzina di democratici, per approvare la riforma dell’immigrazione sponsorizzata da George W. Bush e da John McCain e Ted Kennedy. Il piano Bush-McCain-Kennedy prevedeva una forma di legalizzazione (dagli oppositori definita “amnistia”) degli oltre 12 milioni di immigrati clandestini che già adesso lavorano negli Stati Uniti, attraverso un controllo serrato sul loro passato, il pagamento di una multa e di una tassa per accedere a un visto “z” che li avrebbe messi in coda, dietro agli immigrati regolari, nel cammino verso la cittadinanza americana. La legge avrebbe inoltre rafforzato la sicurezza delle frontiere col Messico, grazie anche alla costruzione di un muro nei punti più porosi del confine. La riforma Bush puntava, infine, a creare un programma per “lavoratori ospiti temporanei” che avrebbe aiutato gli imprenditori a trovare la manodopera necessaria a coprire i posti di lavoro a basso stipendio. La coalizione degli oppositori, sostenuta dai sondaggi di opinione, crede che un’ulteriore amnistia, dopo quella di Ronald Reagan nel 1986, non risolverebbe nulla e, addirittura, premierebbe i comportamenti illegali di chi è entrato in America clandestinamente rispetto a quei milioni di regolari in attesa da anni della carta verde e della cittadinanza. Non c’è soltanto una parte consistente della destra a essersi battuta contro la riforma Bush, ma anche un nucleo di senatori democratici ispirati dalla nuova corrente populista e isolazionista che si fa largo nel partito. Al Senato ha vinto l’alleanza tra i protezionisti sulle questioni commerciali, cioè l’ala sinistra dei democratici, e i protezionisti sulle persone, la base repubblicana. Lo scontro all’interno del mondo conservatore però è più delicato, tanto che rischia di essere per i repubblicani quello che la sicurezza nazionale è per i democratici. Le posizioni tra le due anime sono inconciliabili, come dimostrano il Wall Street Journal e il candidato presidenziale Tom Tancredo. La linea del giornale finanziario, accusata dagli avversari di essere dettata dalle grandi aziende, è fatta di sole cinque parole con cui emendare la Costituzione: “Le frontiere devono essere aperte”. Tancredo, invece, crede che l’America sia così minacciata dai clandestini da aver proposto di porre fine anche all’immigrazione regolare, ipotesi alquanto bizzarra in una nazione di immigrati come l’America. “Il nostro paese ha affisso al suo confine due cartelli virtuali – ha scritto, facendo notare la contraddizione, il teologo Daniel Groody sulla rivista Atlantide – ‘Si offre lavoro: chiedere all’interno’ e ‘Non oltrepassare il confine’”. Ma Tancredo non è solo. Anche un altro candidato presidenziale, l’ex sindaco di San Diego, Duncan Hunter, è sulle sue stesse posizioni e, in generale, anche gli altri candidati, con l’eccezione di McCain, si sono schierati contro Bush. Tra i big il più rumoroso è Mitt Romney, seguito da Fred Thompson, mentre Rudy Giuliani prova a sviare sostenendo che la riforma era troppo ingarbugliata, “il solito disastro washingtoniano”. I sondaggi segnalano la discesa a picco di McCain, ma il senatore dell’Arizona continua a sostenere la necessità di una riforma e prova – sull’immigrazione come sull’Iraq – a presentarsi come un uomo politico di solidi principi che non cambia posizione soltanto perché le sue idee non sono popolari. Difficile, insomma, che l’eventuale sostituto repubblicano di Bush possa, su questi temi, essere più liberal dell’attuale presidente. Il rischio è che alla Casa Bianca non ci sarà alcun repubblicano, visto che il partito diffonde pessimismo e si sta alienando intere generazioni di ispanici. I latinos sono il gruppo minoritario più grande d’America, tradizionalmente vicino ai democratici, anche se nel 2000 aveva votato Bush al 40 per cento con una percentuale doppia rispetto al passato e, forse, anche al futuro.
29 Giugno 2007