New York. Mike Bloomberg, sindaco di New York, era in California a parlar male di Washington e dello stato politico dell’America quando ha annunciato di essersi cancellato dalle liste elettorali repubblicane, per registrarsi come indipendente. La notizia del cambio di casacca di Bloomberg – non il primo e probabilmente nemmeno l’ultimo – ha rafforzato le voci su una sua possibile discesa in campo nel 2008 per contendere la Casa Bianca sia ai candidati democratici sia a quelli repubblicani, voci smentite ieri dallo stesso sindaco di New York. I suoi strateghi elettorali negano che Bloomberg abbia già deciso cosa fare, ma si danno di gomito e ricordano come negli ultimi mesi il sindaco non abbia fatto altro che girare il paese, promuovere proposte di carattere nazionale e pungolare il governo federale di Washington. L’America ama i politici indipendenti e i media sono attratti dai terzi partiti, sebbene poi alle elezioni vincano sempre i due partiti tradizionali. L’ultimo caso è stato quello di Ross Perot, il miliardario texano che nel 1992 prese il 19 per cento dei voti, regalando di fatto la presidenza a Bill Clinton. Bloomberg è unanimemente considerato “un Perot sano di mente” e certamente è molto più ricco. Il suo patrimonio si assesta tra i 6 e i 20 miliardi di dollari, creati grazie a un impero editoriale che consiste di canali televisivi e radiofonici, di agenzie di stampa e di servizi di informazione finanziaria per le aziende. Nessuno ha avanzato problemi di potenziali conflitti di interessi, anzi tutti gli analisti sottolineano tra i punti a suo vantaggio proprio la sua straordinaria ricchezza che gli permetterà di prendere la decisione definitiva anche a metà 2008. Candidandosi da indipendente, Bloomberg non si dovrà sottoporre al rito delle primarie e utilizzando mezzo miliardo di dollari di tasca propria non sarà costretto alle campagne di raccolta fondi che sfiancano gli altri candidati. Il senatore repubblicano Chuck Hagel, fiero avversario delle politiche irachene di George W. Bush, ha detto che potrebbe scendere in campo insieme con Bloomberg in un ticket indipendente, alimentando l’idea che la candidatura del sindaco di New York possa danneggiare soprattutto il candidato repubblicano e consegnare, come ai tempi di Perot, la Casa Bianca ai Clinton. Gli analisti più attenti sostengono invece il contrario, come ha scritto ieri anche il New York Times. La minaccia Bloomberg incombe soprattutto su Hillary Clinton. Bloomberg è un multimiliardario ebreo di Park Avenue e sindaco liberal di New York, caratteristiche riconoscibili per chi è intenzionato a votare democratico, non repubblicano. Bloomberg è pro aborto, pro diritti dei gay, pro legalizzazione delle droghe leggere, pro controllo delle armi, posizioni di scarso sfogo nel Midwest. Da sindaco ha dichiarato una guerra politicamente corretta al fumo e ai cibi grassi, molto popolare tra i lettori del New Yorker e i frequentatori di sedute yoga. Bloomberg parla di ambiente, di ampliamento del sistema sanitario, di divieto del porto d’armi e chiede il ritiro delle truppe dall’Iraq, ovvero parla come un candidato del Partito democratico, partito a cui è stato registrato fino a pochi mesi prima di candidarsi sindaco di New York con i repubblicani. Il punto di forza di Bloomberg è quello di essere un uomo che s’è fatto da sé, che sa come risolvere i problemi senza dover ricorrere all’ideologia e che è talmente ricco che nessuno se lo potrà comprare. Bloomberg sarebbe certamente competitivo negli Stati blu, quelli a maggioranza democratica, oltre che nelle grandi metropoli liberal, mentre avrebbe molte più difficoltà negli stati conservatori. Inoltre i candidati favoriti tra i repubblicani, a cominciare da Rudy Giuliani, sono decisamente più moderati rispetto all’ortodossia del mondo conservatore. A sinistra anche Hillary e Obama occupano posizioni più centriste rispetto alla base. Gli uomini di Bloomberg fanno sapere che il sindaco scenderà in campo soltanto se avrà reali possibilità di vittoria, chance che al momento non si vedono.
21 Giugno 2007