Non vorrei far prendere uno spavento a Walter Veltroni, ma la politica estera del suo più recente idolo americano, cioè il senatore nero Barack Obama, piace moltissimo ai neoconservatori, agli esportatori della democrazia, ai cultori dell’interventismo americano e a chi non disdegna le azioni preventive e unilaterali. Obama è la speranza liberal del partito democratico americano, oggi l’unico capace di far sognare chiunque lo stia ad ascoltare, sia esso di sinistra o di destra. A Veltroni il senatore dell’Illinois piace proprio per questo, così come gli piaceva Robert Kennedy, sebbene ce l’abbia fatto sapere soltanto dopo la morte di Bob e la fine del comunismo. Di recente, a Chicago, Obama ha spiegato quale sarebbe la sua politica estera, qualora riuscisse a entrare alla Casa Bianca. Il suo discorso è stato lodato soprattutto da Robert Kagan, il teorico neoconservatore della divisione ideologica tra gli americani provenienti da Marte e gli europei appartenenti a Venere. Ecco che cosa ha detto Obama: “Nessun presidente deve mai esitare a usare la forza, unilateralmente se è necessario, per proteggere noi stessi e i nostri interessi vitali quando siamo attaccati o minacciati di essere attaccati”. Ancora: “Il momento americano non è passato. Respingo quei cinici che dicono che questo nuovo secolo non possa essere un altro in cui, con le parole di Franklin Roosevelt, guideremo il mondo nella battaglia contro il male e nella promozione del bene. Io credo ancora che l’America sia l’ultima e migliore speranza sulla terra”. Sembra George W. Bush, invece è l’uomo più di sinistra tra i candidati big del partito democratico. Obama è stato contrario alla guerra in Iraq, anche se non era ancora al Senato al momento dell’autorizzazione a Bush, in realtà votata da tutti i pezzi grossi del Partito Democratico. Sulle minacce future, inoltre, sembra più Dick Cheney che uno dell’Ulivo: “Il mondo deve impedire all’Iran di acquisire armi nucleari e lavorare per eliminare il programma nucleare nordcoreano. Nel perseguire questo obiettivo, non dobbiamo mai escludere l’opzione militare”. Obama, infine, vuole “mantenere la nostra influenza nell’economia mondiale” (cioè quella americana) e “concorda” con l’idea di Bush secondo cui “l’obiettivo dell’America è promuovere la libertà”. Se il successore di Bush fosse Obama, la politica estera americana sarebbe questa. Una situazione di potenziale imbarazzo per Veltroni, cioè per chi aspira alla leadership del Partito democratico nostrano e si ispira a Barack Obama. Ma, in fondo, sarebbe anche un’opportunità formidabile per liberare la sinistra italiana dalle vetuste scorie ideologiche del suo passato.
1 Luglio 2007