Camillo di Christian RoccaLa quarta religione occidentale

L’America non è soltanto una nazione che si estende sul territorio geografico compreso tra il Canada e il Messico. L’America è una religione globale. Questa religione si chiama americanismo. Non è una religione civile, è una religione tipicamente biblica, ispirata alle Scritture ebraiche, diretta discendente del Cristianesimo e, in particolare, del fondamentalismo puritano dei fanatici religiosi che nel 1620 lasciarono l’Europa per costruire un nuovo modello di società per il vecchio continente, quella famosa “città illuminata sopra la collina” a cui tutti avrebbero dovuto guardare con ammirazione e che da John Winthrop a Ronald Reagan è diventata l’immagine più precisa del ruolo che l’America s’è voluto ritagliare nel mondo. L’americanismo, in sintesi, è la quarta grande religione “occidentale”, dopo l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam. La tesi è in un nuovissimo libro appena pubblicato negli Stati Uniti da Doubleday (Random House) a firma di David Gelernter, professore di computer science a Yale, membro del National Council of Arts e autorevole collaboratore delle riviste The Weekly Standard e Commentary. Il titolo del saggio è “Americanism – The fourth great western religion”. L’americanismo, secondo Gelernter, è una religione senza Dio, capace quindi di attrarre credenti di diverse fedi ma anche laici e atei. E’ una versione secolare del sionismo, ma non del sionismo dell’antico popolo ebraico, piuttosto quello dei pellegrini puritani che vedevano se stessi come i nuovi figli di Israele e che nel Seicento sbarcarono nel nuovo mondo per creare la nuova Gerusalemme. I loro ideali di libertà, uguaglianza e democrazia, impregnati di spirito religioso, ebbero sui padri fondatori dell’America un’influenza maggiore dell’Illuminismo, sostiene Gelernter nel suo libro. L’americanismo quindi non è patriottismo, perché la gente che crede nell’America vive in tutto il mondo, spesso addirittura in America non c’è mai stata: gli ebrei russi che nel 1910 scappavano dai pogrom, i berlinesi assediati dai sovietici, i sindacalisti polacchi di Solidarnosc, i curdi massacrati da Saddam e così via. L’America, sostiene lo studioso di Yale, è “uno dei più bei concetti religiosi che l’umanità abbia mai conosciuto”. I documenti costitutivi del credo americano – la Costituzione, il Bill of Rights e i grandi discorsi dei più importanti presidenti degli Stati Uniti: Abramo Lincoln, Woodrow Wilson, Harry Truman e Ronald Reagan – rimandano a questa straordinaria e religiosa fiducia dei padri fondatori nella capacità umana di rendere migliore la vita. I richiami alla Bibbia e alla fede sono molteplici, a dimostrazione che ha torto chi sostiene che l’America sia stata fondata come uno Stato secolare con la sfera religiosa nettamente distinta da quella pubblica e quindi relegata all’ambito privato. La tesi di Gelernter è proprio questa: l’America è tutto tranne che un paese secolare, piuttosto è una potentissima idea religiosa, anzi una religione essa stessa il cui straordinario compito è quello affrontare e risolvere i problemi di questo mondo, non dell’aldilà. Gelernter chiama questa peculiare religione “americanismo” o “sionismo americano”, entrambi sinonimi di un credo che incorpora l’idea biblica del popolo eletto (“o quasi eletto”, come diceva Lincoln) e della terra promessa. Questi concetti, si legge nel libro, sono la fonte primaria dell’urgenza americana (non sempre all’altezza dei suoi principi, in verità) per la missione divina, per il destino manifesto e per l’imperativo morale di voler aiutare il resto dell’umanità. Prima dell’americanismo, spiega Gelernter, nessuna religione al mondo aveva trasformato nel suo credo gli ideali politici di libertà, uguaglianza e democrazia tipici della tradizione giuridica e culturale inglese: “Il grande risultato dell’americanismo – si legge nel libro di Gelernter – è quello di proclamare questi tre principi e la loro origine biblica, ma anche di averli proclamati nelle stesse Scritture americane, specialmente nei discorsi presidenziali di Lincoln, e poi di averli resi reali in una nazione vera e funzionante”. L’americanismo va addirittura oltre, perché sostiene che questi tre principi non siano di proprietà esclusiva degli americani, dei cristiani, dei credenti in Dio o dei discendenti dai bianchi europei. Per la religione americana, i principi di libertà, giustizia e democrazia appartengono a tutta l’umanità, sicché gli americani, o comunque gli aderenti al credo americanista, hanno il dovere non solo di predicarli, ma anche di portarli in dono a chi ne è privo. Il credo americano, secondo Gelernter, non una dottrina astratta inventata da filosofi per il gusto del dibattito con altri filosofi, è la distillazione dei principi biblici, così come interpretati dai puritani, i quali si sentivano oppressi da Giorgio III esattamente come l’Israele biblica era stata sotto il giogo del Faraone egiziano. Scritture alla mano, i puritani credevano, quindi, di poter contare sull’aiuto di Dio per affrontare e superare tutti gli straordinari imprevisti della loro impresa, proprio come poté contarci l’antico popolo di Israele. Questa lettura dello spirito, della storia e della tradizione americana proposta da Gelernter spiega l’afflato interventista e messianico degli americani, oggi con George W. Bush, domani chissà con chi, ma in precedenza rintracciabile in tutti i grandi presidenti della sua storia, da Reagan a Kennedy, da Truman a Wilson fino a risalire a George Washington e ai padri costituenti. Il saggio di Gelernter, quindi, è un libro politico, quasi apologetico delle politiche bushiane contro l’estremismo islamico. Eppure liquidarlo come tale è un errore. In realtà è un saggio utilissimo a capire gli americani e questo benedetto o maledetto americanismo, cioè la genesi ideologica, politica e soprattutto religiosa di gran parte delle scelte delle varie amministrazioni di Washington. Il libro serve, dunque, a comprendere il fenomeno che gli avversari occidentali dell’America chiamano “imperialismo”, senza badare al fatto che in realtà si tratta di un imperialismo bizzarro, visto che all’estero non lascia colonie e protettorati, ma costituzioni e parlamenti (e talvolta eserciti per difenderli). La chiave per capire l’America, secondo Gelernter, è conoscere a fondo quei Puritani che, di fatto, la fondarono all’inizio del Seicento. Questi erano fondamentalisti religiosi, fanaticamente devoti al loro Dio cristiano, bramosi di voler vivere in comunione col Signore. Ma i fanatici del nuovo mondo erano fanatici in un modo diverso dai fondamentalisti religiosi di questi tempi: erano andati in America perché avevano scelto di non combattere in Inghilterra. Si erano sobbarcati la fatica di emigrare in una terra sconosciuta perché non volevano fomentare una ribellione popolare né causare un bagno di sangue. Si erano convinti che il modo migliore per cambiare i costumi corrotti e senza Dio dell’Inghilterra dei loro tempi non fosse quello di distruggere il potere costituito, ma di provare a salvarlo grazie all’aiuto di Dio. Lo strumento escogitato fu quello di costruire nel nuovo mondo, cioè in America, un modello di società alternativa che potesse rappresentare un esempio di virtù, di giustizia e di uguaglianza per tutti, a cominciare dalla madrepatria britannica. In mente avevano la Bibbia. Erano, appunto, fanatici, ma secondo Geler
nter la loro intolleranza è riuscita nel capolavoro di far nascere la tolleranza. La loro battaglia per la libertà religiosa ha consolidato la libertà in generale e la loro devozione all’idea biblica della comunità ha contribuito alla formazione del moderno stato liberale. Il puritanesimo si è estinto ufficialmente nell’Ottocento, ma la sua eredità è rintracciabile ancora oggi in ogni cittadino americano. Sono la maggioranza, infatti, gli americani che credono che la loro nazione sia benedetta dal Signore, che abbia una missione dettata da Dio e che debba ispirarsi ai più alti ideali giudaico-cristiani. Come i puritani, la gran parte dei credenti americani odierni ha un rapporto forte, semplice e diretto con il Vecchio Testamento, più che con una Chiesa costituita. E, in fondo, la grande guerra culturale e deologica che divide il paese dalla fine degli Sessanti a oggi, secondo Gelernter, è in ampia parte un battaglia sull’eredità culturale dell’America puritana. Oggi dare di puritano a qualcuno equivale a insultarlo, perché la parola suggerisce rigidità, austerità, censura, esattamente tutto quello che i laici amano odiare. Non è un’esagerazione, i puritani erano davvero rigidi, austeri e censori, volevano un cristianesimo strettamente biblico e “purificato”, ma nel nuovo mondo non hanno costruito teocrazie, piuttosto città e Stati (Massachusetts, Rhode Island, Connecticut), università (Harvard) e istituzioni incredibilmente democratiche, aperte e liberali per quei tempi. La filosofia pratica ed estetica dei puritani era la dignità e la religiosità dell’essere e apparire semplici: “La semplicità come visione del mondo è diventata lo stile americano per eccellenza, un’estetica con radici teologiche”, dice Gelernter. Il carattere americano è questo, esattamente quello che in Europa viene interpretato come idealismo ingenuo in tutte le possibili declinazioni: ingenuità religiosa e irrazionale incapacità di affrontare la realtà globale. La definizione “il credo americano” è di Gunnar Myrdal che nel 1944 lo definì come “l’essenziale dignità individuale dell’essere umano”, “l’uguaglianza tra tutti gli uomini” e “l’inalienabile diritto alla libertà, giustizia e pari opportunità”. Gli Stati Uniti sono stati la prima nazione ad essere fondata su questi principi, sebbene la loro piena rivendicazione sia dovuta passare attraverso una sanguinosa guerra civile e varie altre battaglie. Abramo Lincoln è il presidente che ha completato gli sforzi dei padri fondatori, fino a diventare il più grande presidente americano di tutti i tempi. Secondo Gelernter, Lincoln è l’uomo politico che ha completato anche la trasformazione del puritanesimo in americanismo. Non solo. Con i suoi discorsi e le sue azioni, Lincoln non è stato soltanto il principale predicatore e profeta della nuova religione americana, ma essendo stato ucciso è diventato anche il suo più grande martire: “Ha fatto diventare l’americanismo sacro”. Il puritanesimo ha ispirato Lincoln, sebbene lui ne avesse rigettato alcuni aspetti come l’idea della punizione eterna, della predestinazione e avesse finanche espresso dubbi sulla divinità di Gesù e sulla Trinità. Eppure, scrive Gelernter, “Lincoln ha trasformato l’americanismo in una religione matura e completa non costringendo l’America a incarnare i suoi nobili ideali, ma insegnando alla nazione che avrebbe dovuto rappresentarli. Lincoln ha cambiato l’americanismo interpretando gli ideali di libertà uguaglianza e democrazia non come semplici parole scritte sulla pergamena, ma come linee guida operative. I suoi più celebri discorsi, a Gettysburg, Cooper Union e quello dell’inizio del secondo mandato, sono ispirati a Dio e alla fede, ma Lincoln non ha cristianizzato l’America, piuttosto ha americanizzato il cristianesimo, ha messo i sacri principi giudaico-cristiani a disposizione dell’America e della sua nuova religione. Nel suo libro Gelernter congiunge il filo della religione americana dalle origini, passando attraverso l’americanismo biblico e militante dei presidenti democratici Woodrow Wilson e Harry Truman e la missione divina contro l’asse del male di Ronald Reagan. Poi è il turno di George W. Bush e della sua campagna per la diffusione della libertà e della democrazia in medio oriente come arma di prevenzione di massa del fondamentalismo terrorista e omicida. Gelernter è consapevole dei tanti sopracciò nei confronti del presidente texano, così cita un passo di un libro: “A una cena di Washington, con parecchi oppositori della guerra e dell’Amministrazione, la politica del presidente fu come al solito con queste persone oggetto di denuncia veemente”. A un certo punto, continua a citare Gelernter, l’unico dissenziente presente a questo party di Washington ha detto – in difesa del presidente repubblicano – che “per quanto carente possa essere il suo cervello, resta comunque una brava persona”. Chi ha raccontato il diffuso sentimento anti Casa Bianca è un amico del presidente, F. B. Carpenter. Il libro non è di oggi, ma del 1866. E il presidente non è George W. Bush, ma Abramo Lincoln.

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