Camillo di Christian RoccaPetraeus al Senato

New York. Il generale David Petraeus e l’ambasciatore Ryan Crocker, al loro secondo giorno di audizioni sull’Iraq al Congresso di Washington, hanno dovuto affrontare una prova ben più impegnativa, dopo la passeggiata alla Camera bassa di lunedì, dove la traballante performance dei deputati democratici e le accuse di tradimento avanzate via pagina pubblicitaria sul New York Times dall’ala radicale del partito hanno facilitato il compito dei due inviati di George W. Bush a Baghdad e dei repubblicani. Al Senato, invece, di mattina alla commissione Affari esteri e nel pomeriggio a quella sulle Forze armate, Petraeus e Crocker si sono trovati di fronte cinque pretendenti alla presidenza degli Stati Uniti, più tre ex candidati alla Casa Bianca. Joe Biden, Hillary Clinton, John McCain, Christopher Dodd e Barack Obama tra i primi, John Kerry, Joe Lieberman e Ted Kennedy tra i secondi. Con toni più compassati rispetto ai ruspanti parlamentari della Camera, anche i senatori si sono divisi sulla base della loro appartenenza partitica, con l’eccezione del democratico e indipendente Lieberman e del repubblicano Chuck Hagel. I senatori di centrodestra sono sembrati convinti dalle testimonianze di Petraeus e Crocker, con John McCain addirittura entusiasta anche perché, secondo parecchi analisti di Washington, il successo di Petraeus è la sua carta principale in vista delle primarie del 2008. McCain, insieme con Lieberman, è infatti il padrino politico del “surge”, cioè dell’aumento delle truppe americane in Iraq deciso da Bush a gennaio e iniziato a primavera sotto il comando di Petraeus. Il senatore dell’Arizona ha sostenuto, fin dal primo momento dell’invasione irachena del 2003, che i piani di Donald Rumsfeld e Dick Cheney erano sbagliati e che il numero delle truppe era insufficiente a pacificare il paese, come peraltro suggerivano alcuni generali del Pentagono e parecchi altri sostenitori dell’intervento militare. “Inviare più truppe” è stato per mesi il mantra di MacCain, spesso in diretta contrapposizione con la Casa Bianca, tanto che quando Bush ha deciso di aumentare il numero dei soldati americani, i candidati democratici, in particolare John Edwards, hanno cominciato a chiamare la nuova strategia “the McCain’s surge”. L’intento era denigratorio, convinti com’erano che anche questo tentativo sarebbe fallito e che, di conseguenza, avrebbe contribuito ad affossare il concorrente McCain. Ora che il generale Petraeus e l’ambasciatore Crocker raccontano di una situazione per la prima volta da un anno e mezzo in via di miglioramento, sia in termini militari sia in termini di alleanza con le tribù sunnite, un tempo ossatura della guerriglia saddamita, McCain prova a incassare e in settimana comincerà un giro in autobus dell’Iowa, del New Hampshire e della Carolina del sud dal titolo “No surrender”, “nessuna resa”.
“Manca un Mandela”
I senatori di centrosinistra si sono mossi in modo diverso rispetto ai colleghi della Camera. Non hanno negato né contestato i dati e le buone notizie fornite da Petraeus, e quando l’hanno fatto hanno usato toni molto più cauti. Piuttosto si sono concentrati sulla politica dell’Amministrazione (“un disastro”, ha detto Obama, il quale oggi presenterà le sue proposte) e sull’inefficacia dell’impegno americano in Iraq, visto che il miglioramento della sicurezza garantito da Petraeus non ha favorito la riconciliazione nazionale. Inoltre hanno ricordato che gli iracheni non sono riusciti a rispettare gran parte degli obiettivi che loro stessi si erano dati, a cominciare dalla nuova legge sul petrolio fino all’amnistia nei confronti degli ex gerarchi baathisti. Da qui l’idea, esposta in modo esplicito, che una soluzione militare non serva a nulla e che i risultati positivi raggiunti da Petraeus siano comunque “modesti” (Obama) rispetto ai costi umani e finanziari. Meglio tornare a casa, suggeriscono, tanto più che gli iracheni non sembrano interessati a una soluzione politica. Biden propone di dividere il paese in tre e l’idea comincia a fare breccia anche tra gli editorialisti conservatori come Charles Krauthammer e David Brooks.
Petraeus e Crocker hanno ammesso le difficoltà, ma hanno ribadito che l’obiettivo di un Iraq stabile e democratico si può ancora ottenere. Ci vuole tempo, hanno detto, “in Iraq non c’è un Nelson Mandela”, a dicembre il paese era al collasso, soltanto grazie alla nuova strategia è stato riconquistato un minimo di sicurezza. Ora i segnali sono positivi, ha detto Crocker: la distribuzione dei proventi del petrolio sta avvenendo anche in assenza di una legge, così come l’amnistia. Ventunmila poliziotti nella provincia di al Anbar sono pagati dal governo centrale, centinaia di ufficiali baathisti sono stati riarruolati o è stata garantita loro la pensione, decine di milioni di dollari sono stati distribuiti alle ex province ribelli. Oggi Bush farà sapere che cosa intende fare e domani presenterà al Congresso le sue proposte.

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