Camillo di Christian RoccaAnni Settanta

Alla Triennale di Milano c'è questa mostra sugli anni Settanta organizzata da Gianni Canova. A me hanno chiesto di scrivere una voce del lemmario. La voce è "Watergate".

Di Christian Rocca
Watergate – Brutto palazzone di Washington. Scandalo politico americano che causò le dimissioni del presidente americano Richard Nixon. Ma, soprattutto, tragedia personale per generazioni di giornalisti, da allora irreparabilmente convinte che gli articoli si scrivano per far dimettere almeno un assessore di una giunta comunale. Ma siamo sicuri che lo scandalo del Watergate (cinque persone del giro nixoniano scoperte a piazzare microspie nella sede del Partito Democratico situato nel palazzo del Watergate) è stato uno scoop della stampa libera e indipendente? Siamo proprio  certi che i bravissimi Bob Woodward e Carl Bernstein hanno scoperchiato soli soletti il marcio della politica di Washington? Siamo davvero pronti a giurare che Gola Profonda è stato l’uomo che ha costretto il presidente Richard Nixon a dimettersi? Se si crede alla retorica di chi ancora oggi racconta di quanto fossero formidabili quegli anni Settanta, allora sì. Se si crede alla parabola di Davide contro Golia, e al mito dei buoni col taccuino contro i cattivi col potere, certamente è così. Eppure dal 2006 sappiamo che Gola Profonda era l’ex numero 2 dell’Fbi, Mark Felt. Sappiamo, quindi, che i conti non tornano, che le date non coincidono, che i fatti dimostrano il contrario. Gola Profonda non agì per senso dello Stato, sennò sarebbe andato a testimoniare davanti al giudice e al Congresso. Invece parlò ai cronisti del Post nel buio di un garage di Washington perché da Nixon non aveva ottenuto il posto di direttore dell’Fbi alla morte di J. Edgar Hoover.
Lo scandalo del Watergate non è stato scoperto dai due grandi giornalisti del Washington Post, i quali certamente hanno contribuito a tenere alta l’attenzione. Lo scandalo è stato scoperto dall’Fbi. Le indagini sono state condotte dalle agenzie federali. Sono state le stesse istituzioni politiche americane ad arrivare fino al presidente. Il colpo decisivo è stato assestato dai procuratori federali, non dal Washington Post. I particolari del coinvolgimento della Casa Bianca sono noti grazie alle inchieste del Grand Jury e alle audizioni del Congresso, non ai reportage di Bob & Carl. Anzi Woodward e Bernstein non si erano nemmeno accorti dei tentativi di insabbiamento nixoniani. Anche in quel caso fu Golia, cioè il potere, a emendare se stesso. L’Fbi arrestò subito i responsabili dell’irruzione, individuò immediatamente uno di loro come impiegato del comitato elettorale di Nixon, e prima della fine della settimana aveva già scoperto che le banconote da cento dollari trovate nel portafoglio di uno dei cinque ladruncoli provenivano dai contributi elettorali del Comitato per la rielezione del presidente. Woodward e Bernstein lo seppero da una soffiata di un investigatore oltre un mese più tardi e ben dopo che la notizia arrivò al Grand Jury. In poche ore l’Fbi aveva scoperto che i soldi erano gestiti dal nixoniano Gordon Liddy e che il consulente del presidente, Howard Hunt, faceva parte dell’operazione-microspie. Soltanto alcuni mesi dopo, e solo dopo che qualcuno passò al Post la lista dei testimoni già convocati dai magistrati, Woodward e Bernstein rivelarono l’informazione al pubblico. Insomma, nelle tre settimane successive all’irruzione dentro il Watergate, l’Fbi aveva già tutto in mano, compreso un testimone disposto a collaborare. Il Washington Post non fece altro che anticipare il processo già ben istruito e poi pubblicare il contenuto del “Rapporto 302” preparato dall’Fbi e fatto trapelare da Gola Profonda, il numero due dell’Agenzia deluso perché Nixon non l’aveva nominato numero uno. I particolari del “cover up” tentato da Nixon sono stati svelati in diretta tv dalle audizioni al Senato. Il ruolo della stampa, al massimo, è stato quello di anticipare di qualche giorno la lista dei convocati alle udienze.
Ma c’è di più. Gli investigatori del Watergate avanzarono subito l’ipotesi che chi aveva passato le informazioni riservate dell’Fbi al Washington Post, lo avesse fatto per scatenare una rivolta contro il direttore dell’Agenzia Patrick Gray, considerato “troppo liberal”. E dunque per convincere Nixon dell’inadeguatezza di Gray, incapace com’era di proteggere il presidente. Una tesi confermata dalle trascrizioni di Nixon e dall’identità di Gola Profonda. La lezione del Watergate, dunque, è poco mitologica, anzi conferma che anche la stampa indipendente (ammesso che esista) viene spesso usata come una buca delle lettere. Suggerisce, inoltre, che Gola Profonda più che altro era un Sòla Profonda.

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