New York. Segnatevi la data. Tra il 10 e il 20 dicembre prossimo il governo italiano voterà formalmente all’Onu a favore dell’occupazione militare americana in Iraq, malgrado la posizione politica ufficiale della maggioranza di centrosinistra sia notoriamente di segno opposto. I fatti. Il 31 dicembre scade il mandato Onu che autorizza la presenza in Iraq dell’esercito di George W. Bush, come previsto dalla risoluzione 1723 adottata, come le precedenti, su precisa richiesta del nuovo governo iracheno nato dalla destituzione forzosa di Saddam Hussein.
Gli americani e gli iracheni in queste ore stanno trattando i dettagli del loro patto strategico bilaterale sulla sicurezza che prevede l’ulteriore presenza in Iraq dei militari americani guidati dal generale David Petraeus. Nel giro di una settimana, al massimo due, il governo di Baghdad invierà proprio alla Rappresentanza italiana alle Nazioni Unite una lettera di richiesta di rinnovo del mandato Onu, accompagnata informalmente da una bozza di risoluzione già concordata con gli americani. Da lì a pochi giorni, il dossier Iraq verrà discusso al Consiglio di Sicurezza e, prevedono fonti diplomatiche al Palazzo di vetro, sarà certamente approvato come peraltro succede ogni anno dal 2003.
Per l’Italia, però, si tratta di una prima volta. E come tutte le prime volte, potrebbe nascere qualche imbarazzo politico e mediatico per il governo Prodi. L’Italia, infatti, è entrata nel Consiglio di sicurezza soltanto a gennaio di quest’anno. In precedenza, sia ai tempi del governo Berlusconi sia con l’attuale governo, non ha mai avuto l’opportunità di esprimere un voto sulla presenza dei militari americani e della forza multinazionale in Iraq. Questo dicembre, inoltre, è anche il mese in cui l’Italia presiederà il Consiglio di sicurezza, un evento talmente raro che le Poste italiane hanno deciso di emettere un apposito francobollo. Sicché l’intera questione del rinnovo del mandato militare americano – adottato ex capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, quello cioè che autorizza l’uso della forza – sarà gestita dall’ambasciatore italiano all’Onu Marcello Spatafora.
(segue dalla prima pagina) Il rinnovo del mandato Onu agli americani non riguarda la missione politica, civile e umanitaria delle Nazioni Unite. In gioco non c’è la necessità di un maggiore coinvolgimento della comunità internazionale nella ricostruzione dell’Iraq e nel processo di riconciliazione nazionale. Su questo punto l’Italia ha già espresso ad agosto un voto favorevole, quando il Consiglio di sicurezza ha rinnovato e ampliato il mandato della missione Unami in Iraq. Il mandato da rinnovare è la missione militare Mnf (Multinational Force – Iraq), il cui slogan che compare in testa al sito ufficiale mnf-iraq.com è il famigerato “Operation Iraqi Freedom” di Donald Rumsfeld. Con il voto di dicembre, l’Italia di Romano Prodi e Massimo D’Alema, di Fausto Bertinotti e Oliviero Diliberto tornerà a far parte dei volenterosi alleati della politica irachena di Bush.
Mercoledì, a Otto e mezzo, il ministro degli Esteri D’Alema ha detto che l’eventuale estensione del mandato sarebbe comunque una risposta della comunità internazionale a una richiesta del governo iracheno. La posizione del ministro è formalmente corretta, anche se il governo iracheno richiede la presenza delle forze multinazionali fin dal primo giorno del suo insediamento a Baghdad. A questa richiesta irachena, peraltro, il governo Prodi appena insediatosi dopo la vittoria elettorale del 2006 aveva replicato con il ritiro (concordato e ordinato, non alla Zapatero) delle truppe italiane da Nassiryah.
La richiesta irachena, infine, nasce da un continuo e serrato confronto con gli americani. Il presidente Bush e il premier Nouri al Maliki hanno appena siglato un patto strategico bilaterale, mentre i loro diplomatici stanno definendo il linguaggio della lettera che arriverà sulla scrivania dell’ambasciatore Spatafora. Gli iracheni hanno bisogno degli americani, ma per ragioni di politica interna vorrebbero compiere un passo avanti verso la piena sovranità. Un’ipotesi su cui stanno discutendo è l’inserimento di una clausola che vieta di rinnovare ulteriormente il mandato militare, ma è improbabile che ci si arrivi. Gli americani condividono la preoccupazione irachena, ma vorrebbero mantenere una certa flessibilità d’azione.
Al Palazzo di vetro si prevede che la lettera irachena (e americana) arrivi al Consiglio di sicurezza tra il 3 e il 10 dicembre. In una decina di giorni, la questione verrà chiusa. L’unica cosa certa è il rinnovo del mandato. Qualche dubbio c’è sull’atteggiamento di Indonesia e Sudafrica, ma soprattutto della Russia che potrebbe provare a ostacolare il percorso per ottenere qualcosa su dossier che le stanno a più cuore, come il Kosovo. L’Italia, invece, è responsabilmente pronta a votare a favore di un altro anno di occupazione militare dell’Iraq.
Christian Rocca
30 Novembre 2007