New York. Il segretario di stato Condoleezza Rice è al centro delle critiche dei giornali liberal per la sua gestione degli affari esteri e i suoi apparenti fallimenti sullo scacchiere internazionale. Il paradosso è che le critiche le arrivano proprio adesso che sta facendo quello che i medesimi giornali liberal le consigliavano da tempo. Soltanto due anni fa, Rice era la superstar della politica americana. Molti commentatori credevano potesse candidarsi alla successione di George W. Bush in una formidabile ed epocale sfida contro Hillary Clinton. Il suo passaggio al Dipartimento di stato, ispirato all’idea di mostrare al mondo la faccia cortese della diplomazia americana, le aveva garantito l’iniziale gradimento della stampa. L’idea era che il Bush appena rieletto, ma scottato dalla guerra in Iraq, avrebbe cambiato linea e sarebbe diventato più ragionevole con gli alleati e con gli avversari. Da ciò nasceva la scelta di mettere a capo della diplomazia Condi Rice, la più brillante esperta di scuola realista del suo gruppo di consiglieri. I giornali si aspettavano un ripiegamento della dottrina di espansione della democrazia, ma il cambio di rotta non c’è stato. Bush, anzi, ha inaugurato il suo secondo mandato annunciando di voler porre fine alla tirannia nel mondo. I primi passi di Condi Rice sono stati conseguenti, a cominciare dalla minaccia di ritirare gli aiuti finanziari all’Egitto se il presidente Hosni Mubarak avesse continuato a tenere in galera i militanti democratici.
Nel 2006, però, la situazione irachena è peggiorata di molto e la Casa Bianca e il Dipartimento di stato hanno inaugurato una nuova stagione di “bastone e carota” che, peraltro, sembra abbia funzionato con la Corea del nord. Bush ha inviato più truppe in Iraq, provando a cambiare l’inerzia militare e politica, la Rice si è resa disponibile alla trattativa diplomatica. Mentre le truppe americane andavano a caccia di terroristi in Iraq, Rice avviava colloqui con i rappresentanti degli ayatollah, con le tribù sunnite, con i feudali padroni della regione e con i palestinesi. La parte “bastone” della strategia, osteggiata dai liberal, è quella che finora ha dato i maggiori frutti, visto che ormai anche i democratici riconoscono come l’offensiva del generale David Petraeus abbia migliorato la sicurezza irachena e convinto i leader sunniti a ribellarsi contro al Qaida.
La parte “carota” della nuova strategia bushiana, invocata per sette anni dai giornali liberal, non si può dire che abbia avuto gli stessi risultati. Malgrado gli incontri e le trattative e gli sforzi diplomatici della Comunità internazionale, l’Iran è ancora in corsa per il nucleare, mentre l’impegno della Rice in medio oriente non ha ancora sbloccato la situazione. A peggiorare la situazione globale, e a rovinare l’immagine di Condi, ci sono anche il nuovo clima da Guerra fredda con la Russia, le scintille turche e il recente caos pakistano. Le nuove critiche alla Rice si aggiungono agli antichi dubbi sull’efficacia del suo ruolo di Consigliere per la sicurezza nazionale durante il primo mandato di Bush. Allora la Rice non era riuscita a coordinare le politiche di sicurezza della Casa Bianca, schiacciata com’era dallo scontro tra Dick Cheney e Colin Powell. Ma a stupire sono le accuse più recenti, come quella sul Pakistan, paese alleato degli americani nella guerra al terrorismo e per questo finanziato con 11 miliardi di dollari all’anno. La Rice ha investito su Pervez Musharraf e sul ritorno in patria dell’ex premier Benazir Bhutto, una deviazione comprensibile dalla dottrina libertaria delineata dopo l’11 settembre. Il paradosso è che la sinistra liberal, ora che Musharraf ha dichiarato lo stato d’emergenza, critica la Rice per aver provato a puntare sulla stabilità, invece che sul cambio di regime, mentre le neoconservatrici pagine degli editoriali del Wall Street Journal le consigliano di non reagire alla decisione di Musharraf con il taglio degli aiuti al Pakistan. Vero è, però, che l’America (ma anche il resto del mondo) non ha una politica pachistana alternativa al sostegno a Musharraf, così come sull’Iran non riesce a trovare una soluzione che non sia la vana speranza che i mullah rinsaviscano o il bombardamento dei siti nucleari.
L’altro fronte di critica è il conflitto israelo-palestinese, malgrado la Rice sia impegnata in uno sforzo diplomatico per riavviare i colloqui di pace tra israeliani e palestinesi paragonabile a quello dell’ultima fase di Bill Clinton. Soltanto nell’ultimo anno, la Rice è volata in medio oriente nove volte, ed è riuscita a convincere i due leader Ehmud Olmert e Abu Mazen a impegnarsi per una soluzione che preveda due stati pacifici uno accanto all’altro. L’obiettivo della Rice, ora, è quello di coinvolgere le potenze regionali in occasione della Conferenza di pace che Bush ha convocato entro la fine dell’anno ad Annapolis, in Virginia. Se la Conferenza avrà successo, Bush e Rice saranno ricordati nei libri di storia. Se non porterà a nulla, i puristi della dottrina Bush potranno dire di aver avuto ancora ragione. Resta bizzarro, però, che a lamentarsi dello sforzo diplomatico della Rice siano i giornali liberal. (chr.ro)
6 Novembre 2007