New York. George W. Bush è riuscito nell’impresa di far ripartire i negoziati di pace tra gli israeliani e i palestinesi e di farli ripartire con l’appoggio incondizionato della comunità internazionale e, soprattutto, con un rinnovato impegno del mondo arabo, compresa la leadership saudita, per la prima volta presente in modo ufficiale a un vertice di questo tipo. Non sarà facile, ha detto Bush, ma il momento è quello giusto. La fotografia di Annapolis è chiara: i leader israeliani e palestinesi vogliono provarci davvero, gli americani offrono il loro sostegno, la comunità internazionale ci spera ed è pronta con Tony Blair a consolidare il pilastro economico della pace, mentre il mondo arabo sembra più convinto del solito, anche per la necessità di isolare gli estremisti di Hezbollah e di Hamas finanziati dall’Iran e di contenere l’influenza di Teheran.
“Il nostro obiettivo – ha detto Bush ai diplomatici – non è quello di concludere un accordo, ma di avviare i negoziati tra israeliani e palestinesi. Quanto a tutti noi, il nostro compito è di incoraggiare le due parti in questo sforzo e di fornire il sostegno di cui hanno bisogno per raggiungere l’obiettivo”. Il pessimismo della vigilia aveva convinto diplomatici e analisti che le due parti non sarebbero riuscite a uscire da Annapolis con una dichiarazione d’intenti comune. Invece, a sorpresa, Bush ha aperto il suo intervento leggendo un documento firmato dal premier israeliano Ehud Olmert e dal presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen. Israeliani e palestinesi si sono impegnati a porre fine al bagno di sangue e al conflitto tra i due popoli per avviare una nuova era di pace, libertà, sicurezza e riconoscimento reciproco. Olmert e Abbas hanno dichiarato di essere pronti a cominciare subito un negoziato bilaterale con l’obiettivo finale dei due stati che risolva una volta per tutte, e senza eccezioni, tutte le questioni irrisolte (Gerusalemme capitale di entrambi gli stati, confini, sicurezza, rifugiati). I due leader si sono impegnati formalmente a firmare un trattato di pace entro la fine del 2008. I colloqui cominceranno subito, il prossimo 12 dicembre, mentre Olmert e Abu Mazen si vedranno una volta ogni quindici giorni per fare il punto della situazione.
E’ rimasto, dunque, deluso chi pensava a un Bush pronto a rinnegare la sua dottrina post 11 settembre e impegnato a trovare disperatamente un accordo qualsiasi che gli consentisse di riscattare in extremis la sua presidenza. La conferenza di Annapolis è figlia diretta di una politica che ha prima isolato Yasser Arafat, il leader palestinese che aveva dato più volte prova di non voler giungere alla pace con gli israeliani. Bush è stato il primo presidente americano a dire già nel 2002 che la soluzione al conflitto israelo-palestinese è quella di due stati democratici che vivano pacificamente uno accanto all’altro. La negoziazione dei dettagli spetta a israeliani e palestinesi, non alla Casa Bianca, e l’impegno americano c’è a patto che sia evidente la volontà delle parti di combattere l’estremismo, esattamente come è scritto nella road map del 2003.
Bush ha aggiunto che le parti dovranno essere responsabili e mostrarsi pazienti e flessibili: gli israeliani dovranno porre fine all’occupazione del 1967 e rimuovere gli insediamenti non autorizzati, mentre i palestinesi e il mondo arabo dovranno riconoscere che Israele è la madrepatria del popolo ebraico e procedere allo smantellamento dei network terroristici. Bush, inoltre, ha spiegato che Washington giudica altrettanto importante che il Libano scelga liberamente il proprio presidente, senza alcuna influenza o minaccia esterna. Il viceministro degli Esteri siriano era lì ad ascoltare.
28 Novembre 2007