Camillo di Christian RoccaDesperado

New York. La situazione di John McCain, a nove giorni dalle elezioni presidenziali americane, è disperata. La strada per ottenere i 270 Grandi elettori che gli servono per raggiungere la Casa Bianca è sempre più stretta, probabilmente già chiusa. Il candidato repubblicano è stato messo al tappeto dalla crisi finanziaria, non solo dalla straordinaria campagna di Barack Obama o dai suoi errori. I liberal sono cauti e avvertono che ancora non è finita, tanto più che McCain ha costruito un’intera carriera politica sulla capacità di saper riemergere da situazioni in cui tutti lo davano per finito, ma le sue truppe sono sfiduciate, la strategia cambia ogni giorno ed è a corto di soldi. 
Tutti i fondamentali della politica sono contro la resurrezione di McCain. Di fronte ha un candidato formidabile, un messaggio imbattibile e una macchina che non perde un colpo, oliata da una quantità di denaro e di militanti entusiasti che non si era mai vista. McCain deve sopportare il peso dei suoi acciacchi, quello degli otto anni di George W. Bush, di due guerre e, soprattutto, della crisi finanziaria. Il giorno del crollo delle banche di Wall Street probabilmente sarà ricordato come il giorno della fine delle sue speranze presidenziali. Fino a quel momento, era appaiato a Obama, se non in vantaggio.
Obama si è mostrato sereno e rassicurante di fronte alla crisi ed è stato abile a sfruttare la paura e i timori dell’elettorato, riuscendo a legare le ricette economiche di McCain a quelle di Bush. McCain ha trasmesso insicurezza, prima flirtando con la diffusa ribellione popolare contro il salvataggio pubblico di Wall Street, poi votando il piano Paulson voluto dall’establishment e anche da Obama. McCain ha sperato che, grazie al piano della Casa Bianca, la crisi potesse passare in secondo piano, ma la Borsa ha continuato a perdere punti, l’ansia per l’imminente recessione si è diffusa globalmente ed è rimasto travolto dal fisiologico sentimento ostile nei confronti del partito che detiene la Casa Bianca da otto anni.
Gli ultimi sondaggi nazionali lo danno indietro di quattro, sette, otto, nove, dodici, tredici punti, a seconda di quale si considera più affidabile. La media tra tutti i sondaggi degli ultimi giorni, fatta da RealClear, dà Obama avanti del 7,9 per cento. Le uniche buone notizie per McCain arrivano da due diversi, ma isolati, sondaggi che improvvisamente lo hanno fatto avvicinare a meno uno. Un altro, della Gallup, sostiene che la percentuale di nuovi elettori sarà la stessa di quattro anni fa, smontando il mito della capacità obamiana di portare alle urne giovani e neri che solitamente non vanno a votare. Le buone notizie per McCain finiscono qui.

Dieci stati bushiani si colorano di blu dem
La partita si gioca a livello statale, dove se possibile la sua situazione è peggiore. Il sistema elettorale americano non elegge chi ottiene più voti popolari (nel 2000 Al Gore prese mezzo milione di voti in più di Bush), ma chi conquista la maggioranza dei 538 voti elettorali assegnati, proporzionalmente al numero degli abitanti, ai cinquanta stati più il Distretto di Columbia che ospita la capitale Washington. Il candidato che vince uno stato si porta a casa tutti i grandi elettori di quello stato (ci sono due eccezioni: Maine e Nebraska, dove il candidato che perde lo stato potrebbe in teoria ottenere un voto).
L’obiettivo è ottenere 270 voti elettorali, la metà più uno di 538 (in caso di parità a 269, decide il Congresso che sarà a maggioranza democratica). Ma è proprio qui che la strada di McCain verso la Casa Bianca è diventata quasi impercorribile. I due partono dal risultato del 2004, quando Bush conquistò 286 voti contro i 252 di John Kerry. McCain si può permettere di perderne soltanto 16 di quei 286. Il grande vantaggio di Obama sta nel fatto che, con l’eccezione della Pennsylvania (21 voti elettorali) e del New Hampshire (4), McCain non ha alcuna possibilità di strappare ai democratici nessuno degli stati vinti da Kerry, mentre ci sono una decina di stati bushiani in cui McCain è in grave difficoltà, con distacchi a volte in doppia cifra. Per essere eletto presidente, McCain dovrà vincere in quasi tutti questi stati, mentre a Obama basterà strappargliene soltanto uno dei grandi, oppure un paio di quelli medi e piccoli. McCain sembra abbia già messo in conto di perdere Iowa (7), Colorado (9), New Mexico (5) e Nevada (5), anche se continua a sperare. L’unica possibilità, a questo punto, è mantenere Florida (27), Ohio (20) e Virginia (13), dove peraltro è indietro in modo consistente, Nord Carolina (15), Missouri (10) e Indiana (11), dove sta comunque messo male. E, senza perdere un colpo, riuscire anche a strappare la Pennsylvania (21) ai democratici.

X