New York. Salvo clamorose sorprese, Barack Obama si appresta a vincere le elezioni presidenziali del 4 novembre con un ampio margine. Questa mattina, alle tre italiane, c’è stato all’università Hofstra di Long Island l’ultimo dibattito tra i due candidati. I sondaggi danno Obama avanti anche di 14 punti e, in queste ultime tre settimane di campagna, il candidato democratico sta sommergendo gli stati in bilico di spot televisivi, con un rapporto di 8 a 1 rispetto a quelli che si può permettere John McCain. Il motivo è che Obama, al contrario del suo avversario repubblicano, non ha mantenuto la solenne promessa di affidarsi ai fondi pubblici e di tenere lontani i soldi privati dalla politica. E ora, come neanche Silvio Berlusconi ai tempi delle videocassette spedite ai tg, Obama ha prenotato sui principali network nazionali mezz’ora di prime time per parlare al paese a pochi giorni dal voto. Il team McCain sembra incapace di cambiare l’inerzia della partita, un po’ per propria incapacità, ma soprattutto per le straordinarie capacità dell’avversario. Gli strateghi di Obama sono perfetti, non sbagliano un colpo, riescono a far credere che siano i repubblicani ad attaccare il candidato democratico, quando sono loro – con dieci o quindici comunicati stampa di fuoco al giorno – a fissare l’agenda della giornata e a denigrare, sfottere e non farne passare una a McCain. Non si era mai vista una macchina da guerra elettorale così coesa, cinica ed efficace. La stampa e le televisioni, come ha ammesso ieri Mark Halperin di Time, lo hanno aiutato, ma il talento di Obama è di apparire naturalmente come la persona più distante possibile da questi colpi bassi e dalla politica politicante.
La frustrazione di McCain cresce, anche perché finora non è riuscito a inquadrare il suo avversario. Nessuno sa chi è veramente Obama, soprattutto nessuno sa immaginare che tipo di presidente sarà, una volta vinte le elezioni. Le sue proposte, le sue dichiarazioni, i suoi programmi sono al tempo stesso condivisibili da chi non ha intenzione di votarlo, ma anche distanti anni luce. Non si capisce se Obama è il candidato che, all’inizio della sua avventura, si presentava come l’unico politico capace di chiudere una volta per tutte la guerra culturale nata negli anni Sessanta o se è l’esponente più radicale e di sinistra di una delle due fazioni. Oppure, terza ipotesi, se è uno dei politici più cinici della recente storia americana, non a caso cresciuto nell’ambientino di Chicago.
Cinismo e freddezza
Gli americani amano valutare i politici dal loro passato, da che cosa hanno fatto, per vedere se le loro promesse corrispondono a una realtà. Obama è senatore da meno di quattro anni, durante i quali ha preparato la sua candidatura alla presidenza. Si può valutare soltanto dal suo passato a Chicago, dove non ha brillato per spirito bipartisan e indipendenza dall’ortodossia di partito. Ogni volta che al Senato dell’Illinois c’era da votare su una questione potenzialmente urticante per il suo futuro, Obama ha votato “presente”, né “sì” né “no” (è successo 130 volte). Soprattutto, a Chicago, Obama si è circondato di personaggi improbabili e impresentabili, come il reverendo antiamericano Jeremiah Wright, l’ex terrorista non pentito Bill Ayers, il costruttore corruttore Tony Rezko e l’associazione dei community organizer (Acorn), in questi giorni sotto inchiesta per false registrazioni al voto in 13 stati.
Hillary Clinton e ora i repubblicani hanno provato a usare contro Obama le sue amicizie di Chicago, ma il senatore democratico se ne è liberato con naturalezza, spiegando che in 20 anni non aveva mai sentito dire al suo consigliere spirituale le cose che tutti gli avevano sentito dire (cioè che Washington diffonde l’Aids per sterminare i neri), che l’ex terrorista che aveva dato il party di lancio della sua carriera politica e con cui aveva lavorato per anni in due diverse fondazioni cittadine e le cui mogli sono state colleghe era semplicemente “un vicino di casa”, che il suo finanziatore, ora in carcere, che gli aveva fatto due favori immobiliari era un estraneo e che non aveva niente a che fare con i community organizer di Chicago di cui era stato avvocato e sostenitore e a cui di recente ha versato 800 mila dollari per registrare elettori. Obama non è antiamericano, non è un terrorista, non è corrotto e non ha commesso frodi elettorali, ma forse è semplicemente uno straordinario politico freddo, indifferente e cinico che si è servito di loro quando gli serviva per accreditarsi presso la comunità afroamericana, tra gli intellettuali di Hyde Park, tra i grandi finanziatori di campagne elettorali, ma che è stato pronto a liberarsene quando sono diventati ingombranti.