Non è facile riuscire a dare smalto, visibilità e credibilità all’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci e affondato da Furio Colombo. Malgrado l’iniziale inciampo su una vignetta vecchio stile contro il ministro Renato Brunetta, la nuova direttrice Concita De Gregorio può davvero farcela, perché è brava, capace e caparbia. La caparbietà è importante, ma il punto decisivo è liberarsi della capalbietà (e non importa se la neodirettrice fisicamente a Capalbio non ci va).
I giornali sono interessanti se si aprono al mondo, se si confrontano con altre idee, se si tolgono la patina del radicalchicchismo vero o presunto. Maureen Dowd, editorialista del New York Times, è una giornalista straordinariamente faziosa, ma anche curiosa del mondo di cui non fa parte.
Anche lei si sente antropologicamente superiore rispetto a chiunque voti a destra, ma non seleziona i soggetti dei suoi velenosi articoli a seconda dell’appartenenza politica. Le sue irriverenze e le sue cattiverie non sono riservate soltanto a Bush e Cheney. Sarebbero banali. I Clinton ce li ha sul mirino da sempre, così come Obama, che lei chiama “Obambi” perché pensa che sia un pappamolle (non lo è, ma non importa).
La Dowd dunque è un modello formidabile per la De Gregorio, proprio perché è il suo opposto. Così come la prosa di Concita scorre sempre appassionata ed entusiasta, quella di Dowd è abrasiva e perfida. Non è un caso che Maureen Dowd, detta MaDo, sia considerata la firma più cattiva e divertente degli Stati Uniti, quella più pericolosa e sublime allo stesso tempo. Scrive di politica al ritmo di una puntata di “Sex & the city” e le sue colonne sul Times fanno male e fanno ridere, spesso fanno ridere da star male.
Dowd mischia in modo irriverente e sarcastico temi seri e frivolezze e si inventa neologismi e nomignoli che poi restano nel linguaggio comune. Legge la politica come una gigantesca battaglia dei sessi, dove il vero scontro è tra chi ha il cervello e chi usa il sesso. Nel tritacarne di MaDo ci sono finiti tutti: Bill Clinton, ma anche il suo accusatore dei tempi del sexgate, perché entrambi ossessionati dal sesso. Sul molliccio Al Gore ha scritto cose indicibili, ma mai quante ne ha riservate a Hillary. A Obama imputa che si fa comandare a bacchetta da sua moglie, ma ce l’ha anche con Michelle, perché troppo mascolina. E quando scrive di Carla Bruni, al contrario, la distrugge perché troppo femminile.
Ora immaginatevi una così che scrive con la stessa leggerezza e perfidia non provinciale dei massaggi di Berlusconi, ma anche del lato femmineo di Veltroni e del machismo salentino di D’Alema. Non correremmo tutti a leggere l’Unità?
Christian Rocca
2 Novembre 2008