Camillo di Christian RoccaZig zag McCain

New York. John McCain è un eroe nazionale, un politico moderato, indipendente e coraggioso, noto per il suo caratterino focoso, ma anche per saper mostrare fair play d’altri tempi con gli avversari. Non è un visionario, non è uno stratega, non è un leader capace di galvanizzare le masse, ma uno stimato senatore che con la forza del suo carattere combatte per trovare soluzioni condivise, va controcorrente rispetto alle ortodossie di partito e non abbandona i suoi principi al primo variare dei sondaggi. Lo chiamano “maverick”, l’anticonformista, per questo.
In situazioni normali, McCain sarebbe stato un candidato ideale per la Casa Bianca. Ma non ci poteva essere un momento peggiore: la popolarità di George W. Bush ai minimi storici, due guerre ancora in corso, la crisi finanziaria, il fenomeno Obama. Roba da tagliare le gambe a chiunque. McCain però è abituato a vivere situazioni disperate, come dimostrano le cicatrici sul suo corpo e i cinque anni e mezzo di torture in Vietnam.
Il crollo di Wall Street ha cambiato il corso della campagna, fino ad allora equilibrata. Da quel momento in poi sono emersi i problemi del team repubblicano, oggi più evidenti che mai. McCain non è riuscito a trovare un messaggio chiaro, una strategia coerente, una tattica efficace. Su Wall Street, s’è agitato, s’è dato da fare, ha cercato di interpretare il sentimento antistatalista dell’America di frontiera, ma alla fine ha votato a favore dell’intervento federale insieme con il resto dell’establishment. McCain non è mai riuscito a spiegare che cosa vuole offrire agli americani, come immagina il loro futuro, come pensa di superare la crisi attuale. Sembra solo il rappresentante del fronte del “no” al referendum su Obama.
La sua tattica cambia a ritmi quotidiani: McCain ha provato con la politica estera e di sicurezza, accusando Obama di non essere pronto a guidare il paese, ma con la scelta della giovane Sarah Palin l’accusa è diventata risibile. Ha puntato sulle antiche frequentazioni imbarazzanti del suo avversario e ogni giorno ne tira fuori una nuova, ma in realtà non tutte per non essere tacciato di razzismo. Però gli ha dato di socialista, anche se poi se l’è rimangiato. Lo accusa di essere coinvolto in uno scandalo di false registrazioni al voto e di aver ricevuto soldi in violazione della legge, ma sono storie che non stanno in piedi e che allontanano moderati e indipendenti, ai quali invece prova a rivolgersi schierando Arnold Schwarzenegger.
La ripresina di McCain, se c’è, è da attribuire alla questione delle tasse, sollevata da una domanda che l’ormai famoso “idraulico Joe” ha fatto a Obama, ottenendone una risposta potenzialmente radioattiva: “Se diffondiamo in giro la ricchezza, sarà un bene per tutti”. Ma una cosa è prendere il caso dell’idraulico Joe per marcare la differenza con le politiche fiscali di Obama, un’altra è trasformarlo in un leader politico che apre i comizi di McCain (arrivando peraltro in ritardo). Ci sono momenti in cui la campagna sembra una caricatura, tra l’idraulico Joe che pontifica sull’universo mondo e l’improbabile “muratore Tito” che con occhiali scuri e accento ispanico accusa Obama di essere il nuovo Hugo Chávez.
Giornali, sondaggi e anche qualcuno all’interno del team McCain addossano la colpa del tracollo alla scelta di Palin come candidata vicepresidente. Il trattamento mediatico che le è stato riservato (un servizio tv positivo, ogni diciotto negativi), ma anche la sua impreparazione iniziale alla ribalta nazionale, hanno probabilmente polverizzato le possibilità che la governatrice dell’Alaska possa convincere indecisi e moderati. Ma la Palin è riuscita a galvanizzare la base conservatrice, da sempre scettica nei confronti di McCain, e velocemente s’è liberata dagli imbarazzi iniziali. Senza la Palin, oggi McCain non avrebbe alcuna chance di vittoria, mentre è ancora in corsa, anche se indietro in tutti gli stati che martedì prossimo saranno decisivi. Il manager della sua campagna, Rick Davis, ieri ha detto che i dati interni mostrano segnali di un clamoroso sorpasso, ma il suo omologo obamiano, David Plouffe, mostra altrettanta sicurezza.