Camillo di Christian RoccaTutte le connection del presidente

La crisi libera il moralismo anti finanza. I giornali liberal curiosano nei portafogli degli uomini di Mr O.

In tempi di crisi finanziaria e recessione, l’America liberal scopre i privilegi della casta finanziaria, il conflitto di interessi e gli intrecci tra politica e affari del campo Obama. I boss delle grandi aziende in cerca di finanziamenti pubblici per evitare la bancarotta dopo anni di vacche grasse provano a parare i colpi e ad adeguarsi alla nuova tendenza. La settimana scorsa i capi delle tre grandi aziende automobilistiche di Detroit – Gm, Ford, Chrysler – erano volati a Washington a piangere miseria ciascuno col proprio jet privato, ma non hanno ricevuto nulla. Mercoledì ci sono andati al volante di una macchina ibrida ed ecologicamente corretta, annunciando che nel 2009 lavoreranno per un solo dollaro di stipendio annuo.
I gran capi di Citigroup – il gigante bancario a corto di cash perché impelagato fino al collo nella questione dei mutui subprime, e salvato pochi giorni fa dal governo federale – hanno detto di essere pronti a non ricevere i bonus milionari di fine anno, in seguito alle proteste interne ed esterne dopo che i loro errori aziendali, dettati dalla voglia matta di fare denaro facile, sono stati coperti da 300 miliardi di dollari dei contribuenti americani. Non tutti i banchieri sono convinti che pagare per i loro errori sia la cosa giusta da fare, scrive senza lesinare sul moralismo il giornalista del New Yorker, George Packer: “Hanno messo in ginocchio l’economia americana e globale con i loro investimenti stupidi, ottusi, pericolosi – si legge sul blog del settimanale newyorchese – Poi hanno chiesto allo stato di salvar loro la vita”, eppure, scrive Packer, non si vergognano: “Vorrei vedere questi malfattori super ricchi scusarsi col paese. Li vorrei vedere in fila a Wall Street, come i dirigenti giapponesi caduti in disgrazia, prostrati sul marciapiede, in atto di contrizione, a supplicare il perdono dei connazionali. Una scena di questo tipo ripulirebbe in qualche modo l’aria dalla puzza della crisi finanziaria, ma ovviamente non accadrà niente di tutto ciò”.
La nuova ondata moralista sfiora anche la prossima Amministrazione Obama e personaggi importanti del Partito democratico come il potentissimo Charles Rangel, il presidente afroamericano della Commissione della Camera che tiene i cordoni della spesa pubblica. Il New York Times sta conducendo una battaglia senza esclusione di colpi contro il deputato di Harlem, accusato di approfittare del suo ruolo per distribuire favori ad aziende amiche e, inoltre, per aver evaso ripetutamente il fisco.
Obama stesso, per la prima volta, si trova in una situazione in cui i giornali liberal cominciano a non essere entusiasticamente dalla sua parte. Uno dei motivi è che ha affidato le chiavi della politica economica a Bob Rubin (informalmente) e Lawrence Summers (con un incarico ufficiale alla Casa Bianca), ovvero ai due principali teorici della deregolamentazione bancaria degli anni Novanta che, secondo i medesimi giornali liberal, ha consentito alle banche di avventurarsi in operazioni finanziarie pericolose. Ma, più in generale, scrivono i giornali, il team Obama sembra avere legami troppo solidi con il mondo bancario e finanziario per fugare ogni dubbio di parzialità nella gestione della crisi finanziaria.
L’editorialista economico del New York Times, Andrew Ross Sorkin, per esempio ha criticato apertamente la scelta obamiana di nominare al Tesoro Tim Geithner, un protegé di Rubin e Summers. Geithner è stato presidente della Banca centrale di New York e, secondo gli esperti citati dall’editorialista del Times, in questi anni è stato così corresponsabile del disastro finanziario “da meritare il licenziamento, non la promozione”.
Sempre il New York Times, ieri, ha pubblicato un lungo articolo sugli stretti rapporti con il mondo bancario di Rahm Emanuel, il capo dello staff di Obama e l’uomo più importante della prossima Amministrazione. Alla fine del 1998, Emanuel ha lasciato la Casa Bianca di Bill Clinton ed è stato assunto da una banca d’affari di Chicago alla quale ha portato la sua corposa agenda di Washington. In due anni e mezzo, scrive il Times, Emanuel ha guadagnato più di diciotto milioni di dollari, a cui si sono aggiunte le quote provenienti dalla vendita finale della società a una banca tedesca. Il Times mette in fila tutta una serie di operazioni finanziarie guidate da Emanuel, elenca i nomi delle società con cui ha fatto affari, ma specifica che non c’è nessuna prova che l’uomo macchina di Obama abbia usato i suoi rapporti politici per favorire i clienti, anche se ribadisce che certamente sono stati importanti per la sua assunzione. Certamente i rapporti col mondo bancario sono tornati utili, scrive il Times, nella carriera successiva di Emanuel, quella politica. Nel 2002, si è candidato alla Camera e, da allora, dal settore bancario e finanziario ha ricevuto finanziamenti per un milione e mezzo di dollari. I rapporti con finanziatori così generosi, scrive il Times, hanno accelerato la scalata di Emanuel all’interno del gruppo al Congresso, tanto che nel 2006 è diventato il capo del comitato che ha organizzato la campagna elettorale democratica, ottenendo dall’industria finanziaria contributi elettorali per quasi sei milioni di dollari.
E’ Bob Rubin, però, il personaggio oggetto di maggiore attenzione da parte dei giornali. Il New York Times, il Wall Street Journal, il Financial Times e il Washington Post pubblicano articoli a getto continuo sugli intrecci politica e affari di Rubin, una vita a Goldman Sachs, un passaggio al Tesoro di Clinton e poi presidente e membro del consiglio di amministrazione di Citibank. Rubin ha annunciato che, come l’anno scorso, rinuncerà al bonus di quest’anno, visto che la banca è stata appena salvata dal governo. Ma i giornali non mollano e indagano sulle responsabilità di Rubin nel disastro finanziario di Citibank, lui si difende dicendo che non ha mai avuto incarichi operativi e responsabilità gestionale, allora i quotidiani si chiedono per quale motivo dal 1999 a oggi sia stato pagato da Citigroup 115 milioni di dollari escluse le stock option. Una risposta è questa: a fine novembre il segretario al Tesoro, Hank Paulson, aveva detto che non sarebbe più intervenuto e che avrebbe lasciato a Obama i soldi del Congresso per salvare le istituzioni finanziarie in difficoltà. Ma quando il prezzo delle azioni di Citigroup è crollato del 60 per cento, Rubin ha chiamato il suo ex collega di Goldman Sachs Paulson e il segretario al Tesoro – probabilmente d’intesa col successore obamiano, nonché pupillo di Rubin, Tim Geithner – ha usato 300 miliardi di dollari federali per salvare la banca newyorchese di Bob Rubin.
Christian RoccaI

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