Il trentunesimo presidente degli Stati Uniti Herbert Hoover (1929-1933) è il leader americano che si è trovato a gestire il crollo di Wall Street del 1929, capitato soltanto otto mesi dopo il suo insediamento, senza riuscire a fermare la spirale catastrofica che si è trasformata nella Grande depressione. Non c’è presidente americano con una nomea peggiore di quella di Hoover, soprannominato “il grande tirchio” per non aver impegnato tutte le forze a disposizione del governo e del settore pubblico per sfamare i poveri e i disoccupati.
La filosofia politica di Barack Obama non può essere più distante da quella di Hoover, anche se su un punto fondamentale della loro politica economica, la leva fiscale, hanno deciso entrambi di aumentare le tasse ai ricchi (Obama, in realtà, lascerà scadere i tagli fiscali di Bush e diminuirà le tasse al ceto medio). Hoover diffidava dello stato e pensava di affrontare la crisi del Ventinove con lo spirito pragmatico che lo aveva sempre contraddistinto: una forte dose di protezionismo – ora cara ai democratici, molto meno a Obama – una regolamentazione delle tariffe e un’azione concertata tra pubblico e privato per affrontare le emergenze. Obama, invece, crede nell’intervento dello stato e il suo piano di rilancio dell’economia è così esteso da essere paragonato al New Deal di Franklin Roosevelt, il grande avversario e successore di Hoover alla Casa Bianca.
In questi mesi, in America, sono usciti molti libri sulla Grande depressione, su Hoover e su Roosevelt, alcuni anche per spiegare che in realtà le politiche dei due presidenti non fossero così diverse e che, in fondo, entrambi hanno contribuito ad allungare gli effetti della crisi, superata una volta per tutte soltanto grazie alla Seconda guerra mondiale. Ma c’è una biografia non revisionista di Hoover, scritta dal grande storico liberal della Grande depressione William Leuchtenburg, che nel sottolineare le critiche all’approccio “liberista” di Hoover ne racconta un aspetto pressoché identico al ritratto messianico che è stato fatto di Obama in questi mesi.
Oggi Hoover è sinonimo di incompetenza, arroganza e cattiva amministrazione, ma quando è stato eletto, alla fine del 1928, era l’Obama dei suoi tempi. “Hooverizing”, per esempio, è entrato nei dizionari di lingua inglese, era diventato un modo gergale per dire “efficienza”. Hoover era un intellettuale, un ingegnere cosmopolita che aveva vissuto in Australia, Cina, Corea, Birmania, Sudafrica prima di approdare a Washington.
Nel 1914, è diventato una celebrità internazionale, il “Grande umanitario”, per aver organizzato con un esercito di cinquecento volontari le operazioni di salvataggio del Belgio da una feroce carestia (aver salvato il Belgio, per certi burloni è una colpa peggiore del non aver evitato la Grande depressione). Durante la guerra, è stato nominato dal presidente Woodrow Wilson “zar del cibo”, salvando letteralmente dalla fame post bellica, grazie all’impegno di imprenditori privati, una generazione di tedeschi e di russi.
Il suo cammino verso la Casa Bianca, dopo gli anni da ministro del Commercio, è stato accompagnato da elogi di stampa nazionali e internazionali, secondi soltanto a quelli che oggi riceve Obama. Gli venivano dedicate poesie, la popolarità era immensa, grazie a lui il futuro sembrava radioso. “C’è magia nell’aria”, scrisse il New York Times il giorno del suo insediamento. I democratici lo amavano e lo sostenevano, anche se era repubblicano e infatti erano i repubblicani a sospettare di tutta questa unanimità di consensi. “Non ho paura del lavoro ordinario da presidente – ha detto profeticamente Hoover nel gennaio 1929 al Christian Science Monitor – Mi preoccupo dell’idea esagerata che la gente si è fatta di me. Credono che io sia una specie di superman, che non ci sia nessun problema che non possa risolvere… ma se a questo paese dovesse capitare una calamità, diventerò la vittima sacrificale della delusione irragionevole di chi si aspetta così tanto da me”.
5 Marzo 2009