New York. I grandi giornali italiani raccontano che nell’era di Obama la condizione dei gay è molto migliorata (Corriere della Sera) e riportano con grande enfasi la notizia del riconoscimento dei diritti di coniuge ai partner dei diplomatici omosessuali in missione per conto della Casa Bianca (anche se, riguardo al diritto di essere inviati nei paesi islamici o in Vaticano sarà difficile parificare le possibilità di un ambasciatore gay a quelle di uno eterosessuale).
In realtà c’è molto malumore nella comunità gay, ma anche tra i grandi editorialisti liberal del New York Times e del Washington Post, per la cautela con cui Barack Obama sta affrontando una serie di questioni che in campagna elettorale aveva promesso di risolvere subito. Il punto centrale è quello dei soldati omosessuali. Ai tempi di Bill Clinton è stata fatta una buona legge di compromesso chiamata “don’t ask, don’t tell” centrata sul principio che gli organi militari non avrebbero posto domande sulle abitudini sessuali di chi si arruola, a patto che i soldati gay non ne facessero una bandiera della loro omosessualità. Le ali estreme dei due schieramenti non hanno mai digerito la mediazione: la destra perché non esclude i gay dall’esercito, la sinistra perché limita i diritti degli omosessuali. Obama si era impegnato solennemente ad abolire la norma, ma qualche giorno dopo l’ingresso alla Casa Bianca il progetto è scomparso dal sito Internet, scatenando le prime proteste. Il presidente ha delegato la questione al Congresso, con il consenso anche del Pentagono, quindi è probabile che prima o poi la maggioranza democratica alla Camera e al Senato ribalterà la norma clintoniana.
Resta il fatto che Obama si sia prudentemente tirato indietro, esattamente come ha fatto con il sostegno al progetto di legge per rendere l’aborto più facile, declassato una volta alla Casa Bianca con un “non è tra le mie più importanti priorità”. La situazione sui gay si è complicata alla notizia del primo licenziamento dell’era Obama di una soldatessa che aveva detto nel corso di una trasmissione televisiva su Msnbc di essere omosessuale. Obama non ha fermato il licenziamento della soldatessa, ma le ha scritto una lettera di suo pugno esprimendo rammarico e invitandola ad aspettare i tempi della politica. Due giorni dopo, il 7 maggio, è stato licenziato un altro soldato, di madre lingua araba, perché aveva detto in tv di essere gay. Il comico Jon Stewart s’è lamentato: “Consentiamo ai militari di fare ai detenuti il waterboarding, ma cacciamo chi ci può tradurre le cose che dirà”.
Il saggista e blogger di sinistra Matthew Yglesias ha scritto sul Daily Beast che la posizione di Obama è insostenibile rispetto a quella di Clinton e Bush, perché nel caso di Obama i due soldati non sono stati licenziati perché il presidente in carica crede che sia giusto discriminare i gay, come i suoi predecessori, ma solo perché ritiene sia meglio non fare niente. E’ la stessa tesi di due giganti dell’editorialismo di sinistra d’America come Eugene Robinson del Washington Post, fresco di premio Pulitzer, e Frank Rich del New York Times. Entrambi paragonano la battaglia per i diritti dei gay, a cominciare dall’abolizione della norma che limita la loro libertà di parola fino al matrimonio omosessuale, alla grande battaglia per i diritti civili degli afroamericani degli anni Sessanta.
L’articolo di Rich, domenica sul New York Times, era intitolato “Il vizietto dei democratici”, ma l’obiettivo era Obama. Rich ha spiegato che non sono soltanto i retrogradi reazionari del Partito repubblicano a negare i diritti dei gay, ma anche gli illuminati democratici e le promesse non mantenute di Obama: “Il movimento dei diritti civili gay ha meno ostacoli sul suo cammino di quelli titanici che si è trovato di fronte Martin Luther King nella sua missione di ribaltare la particolare eredità dello schiavismo. Questo rende più vergognoso il fatto che a Washington abbia meno alleati coraggiosi di quelli che ebbe King” e, inoltre, diventa paradossale che sia “Obama, tra tutti, quello a rimanere muto alla Casa Bianca”.
Andrew Sullivan, giornalista libertario e militante gay tra i primi a schierarsi per Obama, è più che deluso: “Ho una nauseabonda e familiare sensazione che si intensifica a ogni mossa della squadra Obama su questi temi. Vogliono liberarsene. Vogliono liberarsi di noi”. Obama sta facendo il minimo indispensabile, ha scritto Sullivan, “per non apparire peggio di Bush”. Per il resto non sta facendo “nada”, al massimo scrive una lettera ai soldati licenziati dicendo di essere “molto dispiaciuto”. C’è da occuparsi di problemi più stringenti, ha detto il portavoce della Casa Bianca. Sintesi del blog di Sullivan: “It’s the economy, frocio”.
Christian Rocca
26 Maggio 2009