Non si parla d’altro. Come garantirci il nostro benessere, aumentando continuamente il consumo di energia elettrica? E come stare tranquilli mentre miliardi di persone escono dalla povertà, reclamando una razione di benessere comunque ben inferiore alla nostra? E come accontentare tutti evitando di far esplodere il pianeta?
Per il petrolio si possono usare le baionette. Nel frattempo il Giappone equipara il disastro di Fukushima a quello di Chernobyl, e in Italia si discute amabilmente di centrali nucleari e mai di efficienza energetica. Ma pochi danno un’occhiata ai dati. Che sono interessanti, per un profano come me: circa il 40% dell’energia mondiale proviene dal vecchio inquinante carbone, quota destinata ad aumentare; il gas sale, per ora, al 20%; il nucleare, invece, copre meno del 15%, il petrolio meno del 10% e le rinnovabili a meno del 4%. Come dire, guardare il dito dimenticando la luna.
Dal latino tardo energia, a sua volta derivante dal greco energeia, composto di en (“in”) e ergon (“opera”). In italiano in vocabolo giunge attraverso il francese (cit. DELI) per descrivere la “forza in atto”, contrapposta alla dynamis (“forza in potenza”). Interessante la trafila dell’aggettivo corrispondente: se anticamente veniva preferito energico, questo termine passò poi a indicare una qualità (“un uomo ernergico”); fu dunque recuperato il greco “energetico”, spesso insufficiente però a definire la natura effettiva dell’energia (nucleare, fossile, rinnovabile, idroelettrica).