Intervenendo all’inaugurazione a Bergamo della Scuola superiore della Magistratura, Umberto Bossi ha dichiarato testualmente: «Io mi sento più sicuro se vado a farmi giudicare da un magistrato che capisce il mio dialetto». L’aspetto più preoccupante è forse che questa frase, pronunciata da un ministro, sia passata sostanzialmente inosservata, travolta dalle polemiche politiche.
Questo concetto è radicalmente sbagliato per vari motivi. Sul piano politico, perché tende a marcare la divisione geografica del paese; sul piano culturale, perché sostiene che le specificità locali vadano contrapposte e non integrate; sul piano economico, perché i paesi che crescono riescono a inserire non solo i cittadini di altre regioni, ma persino immigrati da altri paesi (non oso immaginare come si sentirebbe Bossi con un magistrato nato, che so?, in Senegal…); sul piano linguistico, perché non ha senso parlare di dialetti di ambiti territoriali ampi (la Padania): le parlate italiane variano da paese a paese, da contrada a contrada, e il dialetto non va sterilmente contrapposto alla lingua nazionale.
C’è una frase bellissima che mi è venuta in mente leggendo questa dichiarazione: «L’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la propria è già un uomo forte; ma solo è perfetto colui che si sente straniero in ogni luogo» (Ugo da San Vittore).
(tratto in parte da Moked.it)