“Gli stranieri conoscono il Viet Nam solo per la guerra. Io come sceneggiatrice vorrei rappresentare un altro Viet Nam: quello della pace”. Nata e cresciuta ad Hanoi, Diep ha 25 anni e un sogno nel cassetto, che condivide con naturalezza, nascondendolo dietro un sorriso di leggero imbarazzo.
Sì, perchè oggi, dopo secoli di guerre e lotte per l’indipendenza, i giovani vietnamiti hanno ricominciato a sognare e Diep, che ha già scritto diverse sceneggiature per alcuni cortometraggi, vorrebbe descrivere, rappresentare la sua città, il suo Paese, le proprie tradizioni. “E’ come se ora fossimo sospesi tra tradizione e modernità. Per questo credo sia importante rileggere con un’ottica personale e attuale le nostre tradizioni”. Un quadro, quello tra il vecchio che resta e il nuovo che avanza a colpi di dati statistici, difficile da comprendere. E sottolineato con forza anche dalla stampa nazionale e dai leader politici nei loro esercizi di retorica. In fondo, due sfere di Hanoi – che nel 2010 ha festeggiato i suoi primi mille anni – che anche il turista più distratto non può far a meno di notare.
Qui, almeno per ora, non si distrugge il vecchio per far spazio al nuovo, come nella nuova Cina, in cui la rivoluzione culturale ha tagliato una generazione fuori dalla propria continuità storica. Qui non c’è, d’altronde, neanche il gusto asfittico e decadente per le reliquie del passato: “il clima tropicale insegna che tutto è transeunte, che poche cose sopravvivono all’ineluttabilità del tempo e degli agenti climatici”, spiega Alessandra Chiricosta, filosofa e ricercatrice che di Hanoi ne ha fatto la sua seconda casa. Il vecchio, l’antico si ricostruisce per sopravvivere, mantenendo il proprio aspetto tradizionale e conciliandosi con l’avanzare di un nuovo benessere, di nuove esigenze urbanistiche ed economiche.
Questo ha quindi aumentato le opportunità di incontro con altre culture e i giovani vietnamiti, sono più socievoli, dinamici, ma ancora legati ad un nucleo familiare in cui i rapporti parentali si estendono e si intrecciano come la tela di un ragno. Come i fili elettrici che uniscono le vecchie case del quartiere vecchio, il cuore pulsante di Hanoi, o gli edifici in stile francese che accompagnano il fiume di due e quattro ruote che scorre sulle arterie limitrofe. Caseggiati bassi che sembrano sostenersi a vicenda e che si scontrano con i nuovi blocchi pensati ad Hong Kong e Singapore e che stanno fagocitando l’estrema periferia di una città che continua ad essere rifugio di mano d’opera a basso costo proveniente soprattutto dalle campagne circostanti.
Ad immagini di bambini e ragazzi che giocano a calcio lungo le rive del fiume rosso o ai piedi di Vladimir Lenin, si oppongono quelli di giovani che mostrano gli status della nuova borghesia che cresce ed insegue un orizzonte filtrato dal tubo catodico.
L’Hanoi apparentemente chiusa e fredda che molti turisti e viaggiatori descrivono paragonandola alla più ‘occidentale’ Ho Chi Minh City, ex Saigon, è oggi la capitale di un Paese ancora in bilico tra tradizione e modernità.