Un pugno di moscheIl ‘prossimo’?

"Vorrei parlarvi di un uomo buono, la cui vita esemplare sarà sempre una luce sfolgorante capace di tormentare la sonnacchiosa coscienza dell'umanita. La sua bontà non consisteva in un passivo abba...

Vorrei parlarvi di un uomo buono, la cui vita esemplare sarà sempre una luce sfolgorante capace di tormentare la sonnacchiosa coscienza dell’umanita. La sua bontà non consisteva in un passivo abbandono a una particolare credo, ma nell’attiva partecipazione ad azioni di salvezza; non in un pellegrinaggio morale che raggiungeva il suo punto di destinazione, ma nella morale dell’amore con la quale egli compiva il suo viaggio attraverso la strada maestra della vita: era buono perchè era un buon prossimo.

Una delle più grandi tragedie del lungo viaggio dell’uomo sulle vie della storia è stata la limitazione del prossimo alla tribù, alla razza, alla classe o alla nazione.

Quali sono le disastrose conseguenze di questo angusto atteggiamento gruppocentrico? Esso significa che uno non si cura realmente di ciò che accade alla gente al di fuori del proprio gruppo. […] Non è forse questa la ragione per cui le nazioni si impegnano nella follia della guerra senza il minimo segno di pentimento? […] Se un bianco si preoccupa solo della sua razza, egli, se capita, passerà oltre dinanzi al negro che è stato derubato della sua personalità, privato del suo senso di dignità, e lasciato morente a qualche angolo di strada.

Troppo raramente vediamo le persone nella loro reale essenza umana. Una miopia spirituale limita la nostra visione agli accidenti esterni: vediamo gli uomini come giudei o gentili, cattolici o protestanti, cinesi o americani, negri o bianchi, non pensiamo a loro come esseri umani simili a noi, fatti della nostra stessa sostanza fondamentale, modellati sulla stessa immagine divina.
Il buon prossimo guarda oltre gli accidenti esterni e scorge quelle qualità interiori che rendono tutti gli uomini umani e, perciò, fratelli.

Noi ci domandiamo spesso: “che sarà del mio lavoro, del mio prestigio o della mia situazione, se io prendo posizione in questa questione? La mia casa sarà bombardata, la mia vita minacciata, o verrò messo in prigione?”. L’uomo buono rovescia sempre la domanda. […] Abramo Lincoln non si domandò: “Che ne sarà di me, se io pubblico la Proclamazione di emamcipazione e metto fine alla schiavitù?”, ma si domandò: “Che ne sarà dell’Unione e di milioni di negri, se io non lo faccio?”.

La misura definitiva di un uomo non la si trova là dove egli sta nei momenti di tranquillità e di convenienza, ma là dove egli sta nei momenti di difficoltà e di controversia. Il vero prossimo rischierà la posizione, il prestigio e anche la vita per il benessere degli altri.

Come non mai prima d’ora, amici miei, gli uomini di tutte le razze e nazionalità sono oggi chiamati a essere ‘prossimi’ gli uni verso gli altri. L’appello a una politica mondiale di buon vicinato é assai più che un’effimera parola d’ordine: è l’appello a una forma di vita capace di trasformare la nostra imminente elegia cosmica in un salmo di pienezza creativa.

Non possiamo più a lungo permetterci il lusso di tirare dritto dall’altra parte: una tale follia si chiamava una volta fallimento morale, oggi porterebbe al suicidio universale.

Martin Luther King, premio Nobel per la Pace 1964 e martire dell’integrazione razziale (4.4.1968), dal libro “Strenght to love”, 1963, Harper & Row Pub. (tradotto in “La forza di amare”, 1967, ed. Sei, To), capitolo 3 “Dell’essere un buon prossimo”.

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