Dire, fare, baciare, lettera, pubblicità e comunicazioneL’influenza che fa bene

Ci siamo, dopo aver tanto esitato, arrivano i primi colpi di tosse, i fazzolettini cominciano ad apparire nelle nostre tasche pronti per l'uso, i primi starnuti, i primi raschiolini in gola ci avve...

Ci siamo, dopo aver tanto esitato, arrivano i primi colpi di tosse, i fazzolettini cominciano ad apparire nelle nostre tasche pronti per l’uso, i primi starnuti, i primi raschiolini in gola ci avvertono che l’inverno é arrivato e con lui anche la sana e immancabile influenza stagionale. Quella che ci passiamo alla velocità della luce prendendo l’autobus, la metropolitana o semplicemente stringendoci le mani senza rendercene troppo conto. Si, vabbene, ma tutto questo che c’entra con la comunicazione ?
C’entra, c’entra, perché noi pubblicitari, malgrado le apparenze siamo uomini come gli altri, e tra una smocciolata e l’altra non poteva non interessarci il meccanismo di diffusione di un virus, che utilizza le proprie “vittime” come veicolo di trasmissione. E se al posto del virus ci fosse una campagna pubblicitaria ? E se fossero proprio gli internauti stessi a inviare e a condividere con i loro amici e i loro contatti una campagna ?

Per questo da alcuni anni é immancabile, in ogni brief che si rispetti, la richiesta di un’operazione di marketing virale, o viral marketing, per chi ha fatto la vacanza/scuola a Londra da adolescente.

Una forma efficace di trasmissione del messaggio pubblicitario che consente, nel web 2.0 di oggi, di massimizzare le risorse e, allo stesso tempo, aprire orizzonti inesplorati alla creatività. Perché per provocare la condivisione é necessario sorprendere, divertire, coinvolgere l’internauta.

E funziona, appunto, nella stessa maniera di un virus influenzale. Il veicolo di trasmissione sono gli internauti stessi, che interessati da un film, un giochino, un interattività curiosa, non esitano a inviarla ai loro amici che a loro volta lo inviano ai loro contatti e cosi’ via. Sempre per quelli che hanno passato 1 mese ospiti di una famiglia della middle class a Brighton facendo colazione con pudding e melassa il termine inglese é “to make buzz” ovvero “ronzio”.

Tutto questo ha anche un altro effetto pratico apprezzatissimo dai clienti, la misurabilità con margini di errore inesistenti dell’efficacità di una campagna.

Una delle campagne virali di maggior successo é stata quella realizzato, un anno fa, dalla agenzia francese Buzzmann per Tippex, shoot the bear. Un’idea assolutamente geniale che ha vinto premi ovunque e che é un’ottimo esempio per comprendere come funziona il marketing virale. La sorpresa, la curiosità, e la voglia di condividere tipica del web partecipativo di oggi, tra facebook, twitter et altri social networks, sono gli accelleratori che consentono a una campagna di raggiungere il maggior numero di internauti e quindi di veicolare un messaggio che consente una rapida empatia con il prodotto.
Sempre della Buzzman, agenzia esperta in questo campo, mi va di citare anche una campagna, più recente, per i preservativi della Durex, digital love. Un esperienza virtuale che gioca in contropiede, e in maniera intelligente, con un prodotto che, per definizione, di virtuale non ha nulla.

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