E’ un mantra, un odioso memento che dura da anni: le università italiane sono fuori da tutte le classifiche internazionali, spiccano solo se questi famosi ranking li leggiamo dalle ultime posizioni. Davvero ho pensato che non ne avrei più scritto, almeno per quest’anno, se il comunicato che accompagna il ranking uscito oggi sul Times Higher Education non cominciasse così: Bad news for Italy as No University break Top 200.
E’ il comunicato stampa che introduce la classifica, inviato a tutti i giornalisti che si occupano di formazione universitaria, e forse anche agli altri, in tutto il mondo. Phil Baty, l’editorialista di Times HigherEd scrive che “pur avendo alcune tra le più antiche e famose università nel mondo, è evidente il fallimento dell’Italia che non ha nessuna università tra le prime 200. E’ una vera vergogna – continua Phil – e dovrebbe interessare molto seriamente il governo italiano”. Ma non è finita qui, Baty va fino in fondo col suo commento severissimo: “Le università italiane non riescono a competere nel mercato globale, soffrono di arcaici sistemi di gestione delle risorse umane, di gravi forme di under-investment. Riforme e investimenti in denaro sono assolutamente necessari se l’Italia vuole avere un ruolo serio nell’economia della conoscenza”.
Nulla di nuovo, un’ennesima critica dalla stampa inglese al nostro governo, ma questa volta s’identifica un settore che dagli altri paesi europei è considerato un motore per la crescita. Francesi, tedeschi, e paesi del Nord Europa, non solo non hanno tagliato finanziamenti o corsi universitari, ma hanno investito proprio durante la crisi su Università e Ricerca.
E hanno dato visibilità a questa parte vitale della vita dei cittadini, dell’economia, per l’innovazione. Di formazione il governo italiano parla poco, troppo poco, qualche volta per difendersi dagli attacchi di studenti, docenti, oggi anche da imprese e stampa estera. Il nostro ministro dell’Istruzione Pubblica è noto per qualche gaffe di troppo.
Eppure non è tutto nero, i professori dell’università di Bordeaux mi hanno citato dipartimenti e docenti di pregio delle Università di Trieste, Pavia, Milano, Bologna, con i quali hanno stabilito fior di partenariati.
Le sette università di Milano con Pavia vogliono stringere partnership con imprese, ambasciate e agenzie per lo sviluppo in vista dell’Expo 2015.
A cercarle di buone pratiche ne possiamo trovare diverse. Ma l’Educazione – intesa come istruzione e ricerca dei saperi – non è il brand che oggi distingue l’Italia. Gli inglesi ci dicono che è una vergogna, certamente è un peccato, é il futuro che diventa una nuvola ancora più nera davanti agli occhi freschi e piumati dei nostri giovanissimi cittadini.
Se volete leggere la classifica del Times Higher Education sul sito del giornale, mi raccomando cominciate dalla fine.
6 Ottobre 2011