La devastazione di sabato è sicuramente da condannare, senza dubbi. Dispiace che la manifestazione degli «indignados» sia stata interrotta, violentata, calpestata dalla rabbia organizzata poche centinaia di delinquenti.
In queste ore ho letto con attenzione i resoconti: la maggioranza del corteo non si è accodata e in alcuni casi si è fisicamente opposta ai soprusi. Complimenti.
Ho però la sensazione che la violenza non sia casualmente in quel corteo. Ben al di là delle intenzioni di organizzatori e partecipanti, la violenza sedimenta dove latita la politica, dove la prospettiva è confusa.
Ci sono mille ragioni per indignarsi, per carità. Più di mille. Ma occorre anche spiegare dove si vuole arrivare. Se si omette questo passaggio aumentano i rischi. Se tutti sono ladri allo stesso modo, se tutte le istituzioni sono fallite, se tutte le classi dirigenti sono rapaci, quando scompare qualunque distinguo, che cosa rimane oltre al casino?
Quando si afferma che destra e sinistra sono la stessa cosa, che «politica» è uguale a «casta», che sono tutti corrotti, non si fa politica. Si abdica alla semplice rabbia. Ma la rabbia è spesso reazionaria, e conduce spesso alla reazione.
Con il paradosso per cui, dopo il casino, delle mille ingiustizie che andrebbero sanate non viene toccata neanche una.
Ps: sarà un caso, ma non è uno po’ indecente che chi s’indigna non si indigni per l’aggressione e gli sputi a Marco Pannella?