Ci volevano Giorgio Napolitano e Mario Monti per ricordarci ciò che dovrebbe essere ovvio. Entrambi hanno voluto sottolineare e legare idealmente queste due parole, che, se isolate, paiono effettivamente monche.
Vediamo perché. L’Europa chiede all’Italia misure assai dure per ridurre il debito, contrarre la spesa corrente, rilanciare l’economia. Soprattutto sul fronte della crescita, infatti, il governo Berlusconi viene giudicato insufficiente. I conti pubblici sono buoni – al netto del debito storico – ma il paese è sostanzialmente fermo da quindici anni, nonostante i molti imprenditori coraggiosi.
La parola «crescita» è diventata un mantra nel dibattito pubblico, oscurando quasi completamente, e non casualmente, il tema dell’«equità». In questo modo, però, si produce una discussione politicamente e moralmente assai discutibile.
Nel nostro paese circa il 10% della popolazione detiene circa il 50% dei capitali e dei beni. Si tratta della più grande sperequazione nel mondo occidentale, tanto più nell’Occidente europeo che ha inventato il Welfare state.
Partiamo da questo dato. E discutiamo, poi, di riforma delle pensioni, di flessibilità del mercato del lavoro, di liberalizzazioni, di patrimoniale. Perché ce lo chiede l’Europa ma soprattutto perché la nostra economia ha bisogno di essere liberata dai vincoli corporativi e di retroguardia.
Ma ricordiamoci di tenere insieme crescità ed equità. Perché se è vero che l’equità senza la crescita, come spiegano gli economisti, è una chimera, è altrettanto vero che parlare di «crescita» tralasciando l’«equità» rischia di rivelarsi una truffa.
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