Non c’è governo Monti che tenga. Nessuna rassicurazione europea o statunitense riesce a tenere a bada i mercati finanziari. Sembra che lo spread sia diventato una variabile indipendente e per di più anelastico a qualsiasi intervento delle autorità finanziarie e monetarie. L’abbassamento del tasso d’interesse deciso da Mario Draghi non ha fatto neanche il solletico alla crisi finanziaria. Anche ieri, malgrado gli interventi dei massimi esponenti della comunità europea, gli acquisti della Bce e le rassicurazioni del presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, le turbolenze dei mercati si sono fatte sentire di nuovo con violenza inaudita e non accennano a diminuire. Gli spread di Italia di Spagna hanno fatto a gara a chi saliva di più e in questa corsa si è presentata anche la Francia. Che cosa sta accadendo? Sembra ormai che la inarrestabile finanziarizzazione dell’economia, malattia endemica del sistema economico globale, dopo aver fatto guasti irreparabili nella crisi dei subprime attraverso i cosidetti titoli tossici, abbia infettato ormai in modo definitivo anche il mercato dei titoli di Stato. Non è stato sempre così. Fino a dieci anni fa il mercato dei titoli di Stato era un mercato statico, poco dinamico, con poche oscillazioni, destinato a quei risparmiatori che chiedevano un investimento a basso rischio, in alternativa al mercato mobiliare. Quando un cliente chiedeva cautela il consulente finanziario consigliava titoli di Stato. Nel giro di un decennio tutto è cambiato, con i surplus degli Stati sovrani e con la crescita del debito pubblico si è creato un mercato dei titoli di Stato al alto rischio e con una forte presenza speculativa. La finanziarizzazione ha colpito ancora trasformando il mercato dei titoli del debito pubblico in un mercato rischioso quanto quello borsistico. I titoli di Stato, tra l’altro, sono diventati, titoli che misurano la credibilità politica degli Stati con un anomalo capovolgimento tra politica ed economia. Questo processo sembra inarrestabile e sta intaccando l’integrità politica del vecchio continente e la credibilità della sua moneta unica. E pur volendo essere ottimisti all’orizzonte non si vede una soluzione.
22 Novembre 2011