Chi parla maleIl finto stupro di Torino, La Stampa e il facile mea culpa sui rom (il giorno dopo)

Sono da tempo un accanito lettore napoletano de La Stampa. Da quando lo zio emigrato,  tuta blu a Mirafiori, portava il giornale piemontese la mattina a casa, a Napoli, quando era qui per le vacanz...

Sono da tempo un accanito lettore napoletano de La Stampa. Da quando lo zio emigrato, tuta blu a Mirafiori, portava il giornale piemontese la mattina a casa, a Napoli, quando era qui per le vacanze. Voglio specificarlo perché quello che scriverò ora sul giornale di Torino non è affatto gradevole.

La vicenda dell’aggressione e dello stupro di una adolescente da parte di due rom, poi rivelatasi completamente priva di fondamento, ha lasciato sul campo solo fuoco e rabbia: una manifestazione contro «gli zingari» sfociata nel rogo di un accampamento. E amen.

Non è la prima volta: qualche anno fa accadde a Napoli, periferia Orientale: lì la causa scatenante fu il finto rapimento di un bambino da parte di una giovane rom. I media campani e non cavalcarono, indignati. Non era vero niente. Risultato: due campi nomadi bruciati, chi ci viveva deportato altrove tra lacrime e impotenza.
Meditate che tutto questo è stato.

Sabato sul giornale torinese in cronaca di torino (pagina 77) questa apertura: «Mette in fuga i due rom che violentano la sorella». Nessun dubbio – nel pezzo però si usa il condizionale – e si annuncia la manifestazione dell’indomani. La “fiaccolata”. Le fiaccole poi son state usate, ma per appiccare il rogo ai campi rom.

Appurati i veri fatti (stupro inventato) sul sito web della Stampa la notizia viene data in maniera diversa, più puntuale.

Il giorno dopo (oggi) sul cartaceo la vicenda è richiamata in prima, ma la cronaca la si trova a pagina 61, sempre nelle pagine di Torino. Il titolo è sui «due arresti per il rogo». Il catenaccio contiene la notizia: «intanto la ragazza confessa: non c’è stato nessuno stupro»; nel sommario il vero motivo dell’invenzione della giovane: non voleva far sapere che aveva avuto un rapporto sessuale.

La Stampa capisce che il titolo del giorno precedente sul cartaceo era sbagliato. Poche ma sentite righe di Guido Tiberga, giornalista del quotidiano piemontese, per scusarsi coi lettori.

A parte che non condivido del tutto le scuse «soprattutto a noi stessi» (non il lettore prima di tutto?) poi sostengo che sia diventato troppo facile chiedere scusa “dopo”.
Perché nelle redazioni si è perso il senso della misura rispetto a vicende di questo tipo. Neristi e giudiziaristi con certezze da inquirenti, titolisti che conoscono solo l’indicativo presente («se c’è il dubbio non è una notizia» ammoniva un vecchio cronista, io ascoltavo e annuivo, poi capii che invece non era proprio così).

Nel 2007 l’Ordine dei Giornalisti d’intesa con la Federazione Nazionale della Stampa e Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati approvò una carta deontologica per i giornalisti che si trovavano ad occuparsi di rifugiati e migranti. Una delle prime indicazioni era quella di «evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte».

Stavolta, mi spiace dirlo, non è stato fatto.

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