«Non devono esserci totem» ha affermato il ministro Elsa Fornero a proposito della riforma del mercato del lavoro. Per l’etimologia il totem sarebbe l’emblema del clan e il suo spirito custode. Dunque, se proseguiamo nella metafora, potremmo affermare che la tutela del lavoratore dal licenziamento arbitrario è il mito fondatore della nostra società.
È una suggestione esagerata? Forse no. Nel Dopoguerra si è consolidato il principio che la tutela sindacale, e in generale la garanzia del più debole, fosse il cardine su cui basare la convivenza civile. Ed è per questa ragione che la discussione sull’articolo 18 prescinde dalla dimensione reale del problema per assumere una valenza simbolica sproporzionata.
Non dipende certamente dal solo sindacato. Fino a poche settimane fa il ministro Maurizio Sacconi ripeteva che la riforma di questo articolo dello Statuto dei lavoratori fosse indispensabile per sbloccare la crescita, contraddicendo il buon senso prima ancora dei dati numerici.
Il dibattito pubblico, purtroppo, è fatto anche di simboli. Ci sono argomenti che assumono una valenza particolare al di là del merito, al di là dei numeri, al di là della ragione. E in un momento di crisi sostenere che la crescita del paese dipenda dalla flessibilità in uscita dei lavoratori equivale a prendere una posizione molto netta.
Personalmente non ho nulla in contrario a discutere di questo, di contratto unico (una proposta molto interessante), di articolo 18, di equità tra generazioni. Purché il punto di partenza sia un altro: secondo Bankitalia, il 10% degli italiani detiene il 50% della ricchezza nazionale. Come intendiamo sanare questa ingiustizia?
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