Basta un’immagine talvolta perché giunga, inaspettata, l’ispirazione per una grande storia. Spesso è sufficiente sfogliare un album fotografico perché si palesi una parvenza di trama su cui lavorare alacremente per ricavarne un racconto appetibile. Ma a volte anche gettare un’occhiata a quella porzione di città inquadrata dalla finestrella della propria stanza può rivelarsi un ottimo espediente per stimolare la fantasia.
Lo sa bene Scott Rosenberg, autore televisivo alle prime armi che a metà degli anni ‘90 dopo aver preso parte al team di scrittura di “Racconti della cripta”, una serie antologica sbarcata sulla rete cadetta di Mediaset (che conta la bellezza di sette seasons), e aver realizzato lo script della pellicola poliziesca “Cosa Fare a Denver Quando Sei Morto”, era alla ricerca di un plot più light – epurato da scene cruente (ma che non scadesse nella soap melensa) – in grado di bucare lo schermo e sbancare pure il botteghino. Inutile sottolineare che ne è venuto a capo brillantemente, anche se determinante si è rivelata la strizzata d’occhio della Dea Bendata: già, perché nel corso di una sferzante bufera di neve – sferzante come solo a Boston e dintorni può essere (piccolo appunto: Rosenberg risiedeva in una località del Massachussetts) – caso ha voluto che dinanzi all’implacabile pagina bianca del file Word del suo computer si voltasse verso la finestra e che con lo sguardo si soffermasse per un istante sullo spazzaneve alla guida di cui ha riconosciuto un compagno di liceo, che proprio in quell’istante giungeva a ripulire il suo vialetto. E… boom: gli sono balzate alla mente immagini di un gruppo di vecchi studenti che mentre insegue sogni e ambizioni senza mai gettare la spugna, si cimenta nel serrato corteggiamento di… “Beautiful Girls”.
Proprio quelle che danno il titolo al popolare lungometraggio del ’96, che – pur sortendo l’impressione di un film tutto al femminile – narra le gesta (e che gesta!) di uno stuolo di ultraventenni divisi fra lavoro, divertimento e problemi sentimentali. Un connubio, insomma, di dramma e commedia dimostratosi vincente al botteghino.
Poteva allora venire accantonata quella formula cinematograficamente efficace, che non comporta considerevoli somme di denaro (certo non i 10 milioni del pilot di Lost)?
Assolutamente no, specie se al palato fine di Stephen McPherson, l’allora capoccia della ABC – uno dei più prestigiosi network americani generalisti – risulta assai gustosa.
Ecco allora che, grazie alla tempestiva mediazione di Gary Flader, regista di “Cose da fare a Denver Quando Sei Morto” e amico di entrambi, Rosenberg viene assoldato dall’Alphabet Network per piazzare nello slot 10/9 p.m. del lunedì sera (la collocazione che seguiva la messa in onda di “Grey’s Anatomy” nel 2007) un adattamento seriale della pellicola mantenendone l’ambientazione (la cittadina di Knight Ridge), ma rivoluzionandone il cast.
“October Road” si incentra difatti sulle vicissitudini di un autore di best-seller, Nick Garrett, che a dieci anni dall’abbandono della città natale, nella quale non ha più fatto ritorno, neppure per una breve capatina a riabbracciare gli amici di vecchia data, torna inaspettatamente sui suoi passi. Motivo: un seminario di scrittura creativa presso l’università locale.
Potete immaginare la sorpresa di papà Garrett quando se lo ritrova sull’uscio d’ingresso con tanto di bagagli al seguito, tenendo conto che a parte qualche sporadico contatto telefonico, non si sentivano da prima dei fatti dell’11 settembre.
Come il pingue pater familias, anche tutti i volti del passato sono interdetti dal ritorno della pecorella smarrita: c’è chi reagisce chiudendosi nel mutismo (come l’amico Eddie Latekka) e chi lascia a vedere che la propria serenità non viene intaccata fingendo di proseguire la propria esistenza come se nulla fosse (è il caso di Hannah Daniels, il primo grande amore che ora ha un figlio e un fidanzato).
Col progredire del racconto Nick riuscirà a scalfire quella corazza di astio e odio nei suoi riguardi, ripristinando i rapporti e le relazioni di una decade addietro.
Ma, c’è un ma. Se già pregustavano l’happy ending con quello che si annunciava il series finale del telefilm, prematuramente abortito a causa dell’emorragia di ascolti (il crollo si registra con la première della seconda stagione che ha portato a casa un deludente 6,3 mln, a fronte dei 10 milioni del primo season finale), i viewers sono invece rimasti con l’amaro in bocca, complice il fatidico sciopero degli sceneggiatori che ha contribuito all’interruzione della produzione.
Ma nel pieno rispetto dei fan, cast e crew si sono mobilitati – senza neppure intascare un soldo – per rimettere in piedi il set e girare una degna conclusione della serie (di circa dieci minuti) inclusa nei contenuti speciali dei DVD della seconda stagione, disponibili in USA dal 5 maggio 2009.
La serie si compone di sole 19 puntate (6 del primo ciclo, 13 del secondo) ed è stata originariamente trasmessa sulla ABC statunitense dal 15 marzo 2007 al 10 marzo 2008. In Italia, dopo l’anteprima su FoxLife, è giunta a rinfoltire la seconda serata estiva di Italia 1 nel 2010, conseguendo pure un discreto successo. Quanto ai volti noti che per appena due anni hanno popolato la cittadina di Knight Ridge, svetta su tutti Bryan Greenberg, lo scrittore protagonista, che ha all’attivo una lunga collaborazione col cast di “One Tree Hill” e “How To Make It In America”, nonché un curriculum cinematografico degno di nota (in “Prime” ha recitato al fianco di colossi quali Meryl Streep e Uma Thurman); strepitosa Laura Prepon, che nonostante i trascorsi in “That ’70s show”, riesce perfettamente credibile in un ruolo drammatico, quello della conturbante mammina Hannah (e ora, per inciso, torna alla comedy con l’esilarante “Are You There, Chealsea?”); menzione infine per Odette Youstman (la studentessa universitaria Aubrey invaghitasi di Nick) che attualmente fa sfoggio delle strabilianti doti recitative in “Breaking In” (nelle vesti di Melanie Garcia) e in “Dr. House” (nella parte del dottor Adams).
Eh, sì: gli interpreti ne hanno fatta di road…