il concetto politico più presente nelle sue interviste recenti è “continuità” con il governo Berlusconi. Dopo i durissimi attacchi iniziali a Silvio Berlusconi, messi nero su bianco in un editoriale del Corriere della Sera dove l’ex premier veniva invitato a dimettersi e a non trascinare nel fango l’intero paese, il professor Mario Monti ha cominciato ad elogiare il passato governo, insinuando il dubbio anche nei più ottimisti che una volta messo nell’angolo Silvio Berlusconi, principale ostacolo al cambio di rotta, il professor Mario Monti non voglia far altro che proseguire o completare le linee programmatiche del precedente governo. Cambio di marcia ma stessa filosofia. Non è un caso che il Giornale della famiglia Berlusconi, termometro degli orientamenti del centro destra più irriducibile, negli ultimi giorni abbia cambiato atteggiamento nei confronti del premier. L’accusa al governo tecnico di aver fatto un golpe bianco è sempre più rara e si sta lentamente trasformando in un timido consenso. Ci manca soltanto che la Lega a un certo punto cominci a riconsiderare la sua linea di opposizione e i, ritorno al passato è compiuto.
In effetti la continuità comincia ad emergere, i lati oscuri e un po’ di destra del governo Monti sono quelli riguardanti la giustizia, dove il presidente del consiglio non si è speso granchè per evitare che passasse l’emendamento della lega sulla responsabilità civile dei magistrati, dove non si è mai parlato di conflitto d’interesse, a quelli sul mercato del lavoro dove è ritornata con prepotenza la questione dell’articolo 18 tanto cara all’ex ministro del governo Berlusconi, Maurizio Sacconi. Tutti sanno che l’articolo 18 non è il problema principale per una ripresa dell’economia e dell’occupazione ma forse per dare un segnale di continuità con il precedente governo, il presidente del consiglio ha deciso di metterlo in discussione a costo di ledere i rapporti con le confederazioni. I più maliziosi sostengono che questa scelta di toccare l’articolo 18 sarebbe avvenuta perchè in materia di occupazione e di crescita il governo Monti non saprebbe che pesci prendere. Al di là delle liberalizzazioni, in verità, che forse potranno avere effetti benefici sul mercato del lavoro nei prossimi anni, non si intravvedono linee di intervento del governo tali da portare a una crescita dell’occupazione nel breve medio termine. Non esiste in sostanza un piano per il lavoro del governo capace di dare prospettive ai giovani, non si intravvede un piano infrastrutturale tale da creare aspettative di lavoro per le imprese. L’unica uscita del premier sul tema è stato uno scivolone che poi lo stesso Monti ha riconosciuto. Il ministro Corrado Passera ha detto agli europei in materia di lavoro: “Vi stupiremo”. Speriamo che sia così. Per il momento sulle questioni relative al mercato del lavoro il governo Monti non è ancora riuscito a stupirci con i suoi effetti speciali.
In questo scenario i più preoccupati, e non a torto, sono quelli del Pd. Dopo una prima fase di idillio il partito di Bersani si sta rendendo conto che forse il prezzo da pagare per l’appoggio all’esecutivo attuale è piuttosto dispendioso. Sarà bene che il segretario del Pd si faccia sentire. E non solo al Quirinale. Se no il rischio è che il governo Monti crei semplicemente le condizioni per una vittoria politica nel 2013 dellla coalizione di centro destra e magari di un ritorno dell’alleanza tra Pdl e Lega. Il voto sui magistrati è stato un segnale eloquente.
4 Febbraio 2012