Dicono che le donne argentine siano famose in tutto il mondo per la loro bellezza. Al di là dei valori meramente estetici, in Argentina eccessivamente marcati, ci sono alcune argentine che si distinguono per molto di più. È il caso di Cecilia Baccigalupo, che, con la sua fondazione sportiva dedicata ai bambini disabili, ha fatto della solidarietà una missione di vita vera e constante.
In un freddo e piovoso sabato pomeriggio d’inverno, mi ritrovai al telefono con Cecilia Baccigalupo, che avevo conosciuto qualche anno prima grazie a un articolo che avevo fatto in occasione della giornata della sindrome di Down. Mi rispose con la sua voce squillante, energica, e mi disse: “Vieni subito, e porta anche i bambini… sarà fantastico”, invitandomi ad andare quello stesso pomeriggio a un centro sportivo della provincia de Buenos Aires. Nonostante la pioggia fosse una buona scusa per rinunciare, sentì che, un’altra volta, la mia professione di giornalista mi spingeva verso la miglior parte di questo paese: l’Argentina costruttiva, solidale e spirituale.
Da oltre dieci anni Cecilia allena bambini con disabilità mentali in diverse discipline sportive. Con il suo sorriso autentico e incoraggiante, i capelli biondi spettinati, la camminata agile e informale nelle scarpe da ginnastica, questa signora di cinquant’anni, madre di due bellissime bambine, è stata tre volte campionessa mondiale di paddle: nel 1992, nel 1994 e nel 1996.
Dissimulata dal suo sorriso semplice e dal suo modo di fare paziente e informale, Cecilia mostra una determinazione ed una convinzione invidiabili, atteggiamento comune nelle donne argentine. Lo sport è parte integrante nella vita degli argentini, soprattutto per una questione estetica. Salvo alcuni casi. Per Cecilia l’attività fisica è un modo per connettersi con una parte di sé più profonda e sacra ed è sempre stato un punto fermo della sua vita, nonostante alla nascita non le furono pronosticate previsioni felici. Appena nata, per una mancanza di ossigeno, i medici le avevano prescritto un futuro senza sport. Come altri grandi atleti, Cecilia ha trasformato l’avversità in trionfo.
“Lo sport è lo strumento dell’integrazione: apre le porte all’amicizia, ai viaggi, al meglio delle persone”, assicura, e con questa filosofia, nel 2003 Cecilia ha inaugurato la Fondazione Baccigalupo, affinché i bambini con disabilità mentali possano migliorare la loro qualità di vita. “Lo sport mi ha dato la libertà per potermi compromettere con questo progetto, e mi ha insegnato che le cose si fanno solamente attraverso una completa dedizione”, dice col sorriso che le illumina il volto. Sarà per questo che riserva tutte le sue energie al suo nobile lavoro, esattamente come faceva quando giocava al paddle, ma invece di approfittare del suo titolo di campionessa mondiale, viaggiando per il mondo ad allenare future promesse, questa sportiva argentina ha deciso di rimanere nel suo paese, per formare una famiglia, e dedicarsi allo sport solidale.
Fu un vero regalo quel pomeriggio piovoso in cui ho partecipato alle attività della Fondazione nel piccolo centro sportivo nei sobborghi di Buenos Aires. Al principio, nessuno voleva accompagnarmi. “Mami, devo fare una ricerca su Internet”, diceva una smanettando scocciata con il mouse. “Fa freddo e ho sonno”, ribatteva assopito nel Game Boy l’altro. Mio marito nel frattempo si nascondeva dietro un libro, sprofondato nel divano. Lanciai allora un grido minaccioso e come per magia me li ritrovai tutti in automobile.
Mentre guidavo, cercavo impacciata di spiegare ai bambini cosa fosse esattamente la sindrome di Down e di come lavorava Cecilia con i bambini, di come si sarebbero dovuti comportare. Intanto la pioggia cadeva a dirotto e non fu facile trovare la strada.
Appena entrati al centro sportivo, ci sorprendemmo nel vedere i campi da tennis e da calcio pieni di persone di ogni età:bambini che giocavano, professori che insegnavano, genitori che accompagnavano, Cecilia, insieme ad altre volontarie, sorrideva, come sempre, circondata da bambini. Ci invitò ad entrare nel campo da tennis e ci presentò a tutti. Riconobbi Andrea Benaim, un’imprenditrice che dopo essere sopravvissuta a un tumore al seno, ha lasciato il suo lavoro per diventare direttrice esecutiva della Fondazione.Senza perdere un minuto, e con una naturalezza sorprendente, i miei figli cominciarono a giocare con gli altri bambini. Correvano, giocavano, cantavano, si abbracciavano come se si conoscessero da sempre. Dopo pochi minuti erano veri amici.
“Il contatto coi bambini, i loro abbracci, i loro racconti innocenti sono le cose che arricchiscono il mio lavoro. Sono una grande sostenitrice dell’amicizia e i bambini te la insegnano tutto il tempo”, mi aveva detto Cecilia la prima volta che la intervistai; aveva ragione.
La partita di calcio fu l’apice dell’allegria. A ogni gol, un abbraccio; a ogni tiro, un grido di entusiasmo. Increduli, dietro alla rete del campo da calcio, con mio marito rimanevamo a guardare. Intanto il tifo dei genitori interrompeva il nostro pensiero comune: in quel campo da calcio c’erano solo bambini che giocavano, senza pregiudizi, senza differenze, né aggressioni né maliziosa competitività. L’amicizia e l’allegria avevano preso il sopravvento. “Sono nuovi del gruppo i vostri bambini?”, ci chiedevano i genitori intorno a noi e si preoccupavano di informarci sulle future attività della Fondazione.
Al momento di tornare a casa, i bambini non volevano ripartire. Salutarono con grandi abbracci e mi fecero ripromettere che saremmo tornati il sabato successivo . “Sai mamma, i miei amici di scuola non mi abbracciano così forte quando faccio gol”, mi disse uno. “Grazie che ci hai portati; pensavo mi sarei intristita e invece mi sono divertita da morire”, disse l’altra. Ed io ringrazio le donne come Cecilia, che mi hanno fatto scoprire un lato autentico e impegnato dell’Argentina: quello solidale.
Questo ed altri racconti che ritraggono donne argentine, sono stati raccolti nel libro “Mujeres Argentinas, vidas retratos, momentos”, ideato da Nicole Dunaway, Zhanna Mac Millen e Julia Naiper, con la collaborazione di autrici provenienti da tredici paesi diversi, accomunate dalla curiosità verso una cultura, quella argentina, in cui vivono, ma che non è la loro.
Con gli occhi di donne da tutto il mondo vengono quindi ritratte le donne argentine: la regista Lucia Puenzo, Eloisa la cartonera, la stilista Maria Cher, l’imprenditrice Maria Casares, ma anche donne fondatrici di organizzazioni solidarie a cui è interamente devoluto il ricavato delle vendite.