«Tutti teniamo a passare per evoluti, ma quando si tratta di parlare di omosessuali, bene che vada ricorriamo a logori luoghi comuni, banalità sconce da caserma, frasario da bar. Nel linguaggio corrente mancano perfino le definizioni appropriate: frocio, culattone, busone, orecchione, finocchio eccetera. Un vocabolario meschino, oltre che triviale, totalmente inadeguato a un discorso non dico serio, ma almeno sereno, per discutere di una questione vecchia come il mondo».
Così scrive oggi Vittorio Feltri, direttore del Giornale in un fondo che invita a rispettare le unioni gay, sull’onda della dichiarazioni di Barack Obama.
Ecco, senza tirarla molto per le lunghe, mi chiedo come possano conciliarsi queste odierne dichiarazioni coi titoli della campagna de Il Giornale diretto proprio da Feltri, contro l’ex direttore dell’Avvenire, Boffo.
Lì non si parlava di unioni gay, potrebbe obiettare qualcuno. No, ma la violenza delle allusioni riconosciuta da una sentenza dell’Ordine dei giornalisti che sospese Feltri (nonché da gran parte della stampa e della politica italiana tanto da coniare il “metodo Boffo”) fu tale da indignare quegli italiani convinti che le scelte sessuali non possano essere motivo di una campagna giornalistica.
«Le parole sono importanti, chi parla male pensa male e vive male» è il morettiano adagio che questo modesto spazio ha preso in prestito. Chi ha pensato male e ora si ravvede dovrebbe dichiararlo pubblicamente. E nel pezzo di Feltri avrei preferito un iniziale atto di dolore.
Poi il direttore bergamasco scrive:
«In redazione quando l’attualità propone temi quali i Dico, i Pacs, i matrimoni tra persone dello stesso genere, non c’è giornalista che si offra volontario per scriverne. La categoria, pur zeppa di gay e lesbiche, al pensiero di vergare un articolo sulla materia, si nasconde sotto i tavoli per evitare l’incombenza».
Nelle righe finali di questo periodo esplode proprio la voglia di etichetta. Caro Feltri, se ne faccia una ragione: i suoi «gay e lesbiche» sono esseri umani che fanno i giornalisti, nient’altro. E da direttore non può catalogarli secondo le preferenze sessuali.
Anzi, mi augurerei una sollevazione dei colleghi del Giornale: il loro direttore li ha fatti passare per bigotti cagasotto incapaci di scrivere di omosessualità.