Letteratura? Vita? Che differenza fa? Nessuna. Almeno se ci riferiamo alla storia di Issei Sagawa (nato proprio l’11 giugno del 1949), il criminale nipponico che negli anni ’80 venne in Europa a studiare alla Sorbona. E proprio a Parigi ebbe un rigurgito del suo lato oscuro, così uccise e mangiò parte di Renée Hartevelt, compagna di studi e oggetto di attrazione. In una intervista a Vice (http://www.vice.com/read/whos-hungry-502-v16n1 ) è riportato che alla polizia, la quale lo beccò con due valigie piene dei resti della ragazza, confessò candidamente il movente dell’omicidio dettato dalla necessità di “cibarsi della sua carne”. Tornato in patria, grazie all’influenza del ricco padre che riuscì ad ottenere l’estradizione dopo averne fatto dimostrare l’inabilità al processo, si mise a scrivere, guarda caso, bestseller su serial killer.
In patria Sagawa divenne una sorta di eroe nazionale per aver ammesso, senza alcun tipo di pentimento, il suo atto di cannibalismo. In seguito riuscì persino a costruire una carriera sul fatto criminoso pubblicando numerosi volumi. Oggi scrive anche per un noto tabloid nazionale. Della serie non ci sono più gli eroi di una volta.
La notorietà si consolidò nel 1989, come dichiara egli stesso nell’intervista a Vice, quando il serial killer di bambine Tsutomu Miyazaki, altrimenti conosciuto come Dracula, divenne un fenomeno mediatico. Sagawa fu consultato come esperto nazionale (chi meglio di lui poteva parlare di una mente disturbata?), e da quel momento in poi pubblicò regolarmente almeno un libro all’anno, occupandosi anche di altri serial killer giapponesi come il noto Sakakibara, che operò verso la fine degli anni ’90.
Non si tratta solo di giustizia quindi di una povera ragazza francese uccisa nel fiore degli anni (come si diceva una volta), ma anche della modalità stessa di raggiungimento della notorietà. Persino lo stesso Sagawa ne sembra disgustato (e insomma, ce ne vuole). Nella stessa intervista rilasciata a Vice, dal titolo esemplificativo Chi è affamato?, chiude chiedendo alla gente di leggere i suoi lavori e di smetterla di “pensare a me come un mostro”. In realtà il procedimento è inverso. La sua notorietà è la sua mostruosità. La domanda da porsi sarebbe un’altra. Dove stanno, veramente, i mostri?
Filippo Grasso