Ai tempi d’oro, lo chiamavano “Provolino”. Quelli ormai andati, tra gli anni ’70 e ’80, in cui Roma era nelle mani della banda della Magliana. Mani nere grondanti sangue.
E lui, Maurizio Lattarulo, era uno di loro. Uno dei tanti militari della malavita romana, assoldato alla causa sbagliata. Allora, Roma era criminale. Maurizio anche.
Se non fosse stato già scritto, sarebbe stato il tessuto perfetto della trama di un racconto di Massimo De Cataldo o l’incipit di un saggio di Yari Selvetella.
Sarebbe stata, ma lo è già, una storia nera. Di oblìo e redenzione. Di colpe ed espiazione.
“Provolino”, al secolo Maurizio Lattarulo, ne ha fatta di strada da quei rovinosi anni ’80 e sempre in salita. Prima, braccio destro di Enrico, detto Renatino, De Pedis, boss della banda della Magliana; poi militante del gruppo terrorista di estrema destra dei Nar, Nuclei armati rivoluzionari; da ultimo, luogotenente del terrorista fascista Massimo Carminati.
Un passato nero, di fascista armato e di terrorismo squadrista.
Infine, però, il riscatto. Un riscatto politico e un avvenire di reinserimento in società. E quale miglior modo di espiare le proprie colpe e reinserirsi, da uomo nuovo, in società se non quello di collaborare con la Roma, che, in un delirio di onnipotenza criminale, un tempo saccheggiava?
Nel luglio del 2008, l’amministrazione comunale capitolina, guidata dal neo sindaco Gianni Alemanno, lo assume, con un contratto a tempo determinato, come consulente esterno per le Politiche Sociali del Campidoglio. Un’occasione di redenzione, quasi.
Essì perchè Lattarulo entra in Comune, dalla porta laterale, con un contratto di reinserimento per detenuti. La sua pena, quella con la società, l’ha scontata ed ha diritto ad una nuova chance. Infatti, dopo quella sentenza del 2000 che lo condanna, in via definitiva, per essere stato membro della banda della Magliana, Lattarulo, non è più Provolino il boss, ma un detenuto che ha già avviato un percorso di riabilitazione.
E’ proprio così, peraltro, che l’ex boss della banda della Magliana comincia a collaborare con l’amministrazione Alemanno, percependo, come consulente, dal 23 luglio al dicembre del 2008 circa 13 mila euro, da sommare ai 30 mila, percepiti nei due anni percepiti, fino al dicembre 2010.
Oggi, sebbene con qualche anno di ritardo, la notizia deflagra e squassa ancor di più la giunta Alemanno, non nuova agli scandali. Dopo la “parentopoli” Atac e Ama e la lottizzazione delle società partecipate con incarichi affidati ad amici ed ex fascisti di destra, un nuovo caso di (in)opportunità politica. La vicenda, questa volta, non coinvolge solo il Sindaco, ma anche l’attuale vice, Sveva Belviso, all’epoca dell’affidamento della consulenza a Lattarulo, come oggi, munita della delega ai Servizi Sociali.
E dire che Alemanno non è nuovo a scandali del genere. I precedenti parlano chiaro. Già nel 2009, il Sindaco aveva suscitato le polemiche dei consiglieri d’opposizione per aver nominato come amministratore delegato della controllata Ama, società che si occupa dei servizi ambientali, l’ex picchiatore di destra Stefano Andrini, in passato estradato dalla Svezia e condannato a 4 anni e 8 mesi per tentato omicidio e lesioni aggravate. “Dimissionato” poi da a.d. di Ama, lì è rimasto, percependo 3.500 euro di bonus per l’attività di amministratore svolta nel 2011.
Anche Francesco Bianco, come Lattarulo, era uno dei Nar. Vicino ai fratelli Fioravanti, fu assunto all’Atac e coinvolto nell’inchiesta “Parentopoli”. Alla municipalizzata dei trasporti, finì pure Gianluca Ponzio, ex Terza Posizione.
Oggi, le opposizioni reclamano chiarezza e spiegazioni. Vogliono capire le reali mansioni di Lattarulo dal 2008 alla fine del 2010 e se abbia ancora relazioni giuridiche con il Comune. Soprattutto, tra tanti, perchè proprio lui?
Per il consigliere comunale del Pd, Paolo Masini, ormai il Campidoglio è diventato un luogo di “torbido intreccio tra la destra e la criminalità”.
Il capogruppo del Pdl in Comune, Luca Gramazio, ridimensiona la bufera “come una mossa di campagna elettorale. E’ storia vecchia”.
Già una storia vecchia. Proprio quella di cui Roma non riesce a liberarsi.