Parte I: La droga del cannibale
Riguardo a questa faccenda: http://www.linkiesta.it/droga-cannibali
Qualche giorno fa, in un discorso americano, è saltato fuori Charles Manson. In questa storia la droga – LSD, soprattutto – ha un posto particolare. Ne parla una certa Susan Atkins, fedelissima discepola di Manson e implicata nell’omicidio di Sharon Tate (moglie di Roman Polanski uccisa all’ottavo mese di gravidanza dai membri della cosiddetta “famiglia Manson”). Ad esempio in questa intervista (la prima parte nel video qui sotto).
“Bisogna sapere quello che gli acidi fanno alla mente per capire come una persona possa perdersi sotto l’effetto delle droghe. Potrei scrivere una tesi su questo argomento. […] Credevo che dopo un trip bastassero dodici ore per riprendersi, ma non è così. […] Ogni volta che si assume un acido gli occhi si dilatano e la fibra morale del tuo carattere, che è il prodotto del processo di crescita all’interno di una certa cultura … quando prendi un acido la tua mente si espande aldilà di questi principi morali e del confine tra il bene e il male” (Susan Atkins, 1976; cfr. video).
Fatto sta che a lei, giovane tossicomane già gravemente provata dalla vita, è capitato di incontrare un soggettino di nome Charles Manson, figlio indesiderato di una prostituta, bambino gravemente abusato dalla famiglia affidataria, criminale efferato. Manson diventa per lei e per altri ragazzi oggetto di dipendenza al pari della droga, e questa è veramente la fine.
Certamente la storia della Atkins insegna che la droga non libera ma imprigiona. La signora in questione ha trascorso il resto della sua vita in prigione (dopo la revoca della pena capitale, abolita dallo Stato della California), morendo a sessantuno anni di cancro al cervello.
Perché ricordo questa vicenda. Perché all’America (e non solo) piacciono i film horror, specie quando le cose accadono sul serio. Come le epidemie di zombie e la droga del cannibale. Agli amanti dello splatter bastano due casi – due tizi che a Miami si mangiano la faccia di qualcuno – per annunciare al mondo la scoperta di una sostanza che fa di un uomo un cannibale. Poi c’è un caso in Italia, a Genova, e la stampa ringrazia tutti i Santi perché ora si può dire che la pasticca è arrivata anche qui, e attenzione: qualcuno potrebbe inghiottirla per poi gustarsi un pezzetto di voi innaffiandolo con un buon Chianti.
Cose dette per ridere, ovviamente. Perché la domanda (seria) è questa: può una sostanza fare di ogni e qualsiasi individuo un mostro? Credo di no e che sia piuttosto la particolarità dell’incontro tra una certa droga ed una certa struttura di personalità a fare la differenza. Che il consumo di stupefacenti faccia del cervello una zuppa è cosa nota. Ma la nostra società è ammalata di perversione e di questo occorre occuparsi per davvero, senza nascondersi dietro ad una pasticca, che è come dire nascondersi dietro a un dito. Insomma, bisogna pensarci sul serio.
Parte II: Il maiale con cinque dita
Una signora passeggia sotto il ponte di Brooklyn e si imbatte in una strana creatura morta: http://www.nydailynews.com/new-york/dead-east-river-monster-confounds-new-yorkers-animal-experts-article-1.1121889
Probabilmente è il momento più eccitante della sua vita, perché neanche per un secondo si ferma a pensare che quello potrebbe essere il cadavere di un povero cane orribilmente deformato dall’acqua e dalla decomposizione. Così corre a prendere la macchina fotografica per essere sicura di avere immagini di qualità da inviare via email al Daily News, che certo non disdegna il gossip. Quelli del Daily News stappano una bottiglia e danno la notizia in pasto alla massa, che comincia ad avanzare ipotesi stravaganti – non mancano nemmeno quelle del complotto, che compaiono su qualche blog. “I want to believe”; ed ecco il maiale con cinque dita, o l’alieno, o il prodotto aberrante dell’ingegneria genetica.
Parte III: Il cattivo di Batman
Poi c’è quel ragazzo con i capelli tinti d’arancione, lo psichiatra che non avrebbe ricevuto per tempo una busta in cui colui che di lì a poco avrebbe fatto una strage in un cinema a Denver aveva riposto i disegni del suo progetto omicida. Ci sono le imminenti perizie per valutare la capacità di intendere e di volere (http://www.foxnews.com/health/2012/07/24/how-james-holmes-will-be-evaluated-by-psychiatrists/), con le analisi mediche per escludere eventuali tumori cerebrali, i colloqui e i test psicodiagnostici – come l’MMPI (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) – per descrivere personalità e funzionamento di questo giovane assassino (discriminando tra risposte “vere” e “false”, cioè quando il soggetto finge o esagera i propri sintomi).
Insomma, i professoroni della cosiddetta “salute mentale” si svegliano adesso, a cose fatte. Quel ragazzo ha trascorso ventiquattro anni della sua vita nel più totale anonimato. Nessuno si è mai accorto che – come dire – qualche problemino di fatto lo aveva. Sicuramente ne avrà dato dei segni agli occhi di conoscenti, genitori, insegnanti. Ma questi dormivano.
E il sonno della ragione genera mostri.