LOMBARDIA NEXT STATE IN EUROPEUn fermo No! alla centralizzazione fiscale europea

Giovedì 9 agosto Claudio Cerasa, giornalista del Foglio, ha pubblicato un lungo articolo-conversazione con Stefano Fassina, responsabile Economia del PD. Tema dell’intervista la crisi economica e l...

Giovedì 9 agosto Claudio Cerasa, giornalista del Foglio, ha pubblicato un lungo articolo-conversazione con Stefano Fassina, responsabile Economia del PD. Tema dell’intervista la crisi economica e la ricetta in dieci punti del partito di Bersani per contrastarla. Il decalogo in questione prevede cinque azioni da realizzare in sede europea in concorso con i governi degli altri Stati (in particolare Francia e anche Germania, che l’economista del PD prevede in procinto di passare ai socialdemocratici con le prossime elezioni) e altrettante in sede italiana, dopo le prossime elezioni politiche del 2013, che il PD conta di vincere.
Due sono i punti dalle conseguenze potenzialmente devastanti: uno previsto per il “fronte interno”, ovvero la patrimoniale progressiva, l’altro per il “fronte continentale”, ovvero l’allineamento forzato delle aliquote fiscali fra i diversi Stati membri.
In questa sede ci occuperemo proprio di quest’ultima proposta, degna della massima attenzione (in senso negativo).
Dice Fassina sul Foglio: “Il giorno in cui saremo al governo combatteremo per promuovere un coordinamento delle misure di tassazione in tutta Europa per evitare lo scandalo sociale del dumping fiscale. Non dico che tutti i paesi devono essere tassati allo stesso modo, dico che dare aiuti a paesi come per esempio l’Irlanda senza che in quei paesi vengano equiparate le aliquote d’imposta sui profitti a livello
comunitario vuol dire chiedere agli altri paesi dell’Unione di sostenere una forma di concorrenza sleale: e per un partito progressista come il nostro capite che questo principio è inaccettabile”.
La proposta di Fassina sostanzialmente ripropone un ritornello che da tempo immemore viene agitato nei consessi comunitari: si tratta di quell’idea che eufesticamente e con lessico degno della Neo-Lingua del Grande Fratello orwelliano viene chiamata “armonizzazione fiscale” o “dei sistemi tributari”. In poche parole, il fronte socialista europeo, nelle speranze dell’economista piddino, dovrebbe arrivare a partorire un sistema fiscale unificato per l’intero Vecchio Continente (o meglio, per gli Stati UE), tale da impedire che
un singolo membro della Comunità possa agire sulla leva fiscale a piacimento per rendere, ad esempio, più appetibile l’apertura di aziende o il trasferimento della sede sociale delle stesse nel proprio territorio.
Fassina cita l’Irlanda e porta come esempio quello degli aiuti comunitari concessi alla stessa senza che le sia stato imposto l’obbligo di innalzamento delle aliquote fiscali (per fortuna!), ma il vero obiettivo è la sovranità fiscale dei singoli stati membri, senza se e senza ma. A parte il fatto che l’Irlanda, proprio grazie alle aliquote rimaste basse, è tuttora un punto di approdo per gli investitori internazionali, e infatti oggi sta tornando verso una situazione di maggiore stabilità, va detto che la possibilità di avere tasse radicalmente
diverse da Stato a Stato è uno dei capisaldi di qualsiasi struttura che voglia dirsi autenticamente federale.
“Coordinamento delle misure di tassazione” è soltanto un pessimo eufemismo per propagandare l’introduzione di meccanismi vincolanti e generalizzati nella definizione del livello del prelievo tributario in ogni singolo membro UE: ciò significherebbe semplicemente la fine dell’attuale struttura confederale (o meglio, sostanzialmente federale) dell’Unione Europea e la sostituzione ad essa non già dei cosiddetti “Stati Uniti d’Europa”, bensì di un regime di sovietica memoria, il vero e proprio superstato europeo che annullerebbe in un colpo solo secoli di autogoverno, per dar corpo al sogno che molti tiranni hanno vanamente perseguito. In un siffatto superstato la democrazia sarebbe soltanto apparenza procedurale, in quanto l’assenza di autogoverno fiscale trasformerebbe ogni singolo cittadino in un suddito del sistema, inevitabilmente gestito da oligarchie partitiche e burocratiche (e certamente anche finanziarie) capaci, esse sole, di influenzare il gigantesco meccanismo del consenso necessario per ottenere la maggioranza e, con essa, il potere di decidere il livello della tassazione per tutti.
La cosa buffa, posto che di fronte a tali programmi politici possa restare spazio alcuno per sorridere, è che il partito di Fassina, il PD, cerca da anni di mutuare elementi simbolici e organizzativi dal ben più serio Partito Democratico degli Stati Uniti, il cui presidente in carica, Barack Obama, è stato visto come una sorta di novello Messia per tutti i “democratici” europei. Tutto ciò, si diceva, è buffo e curioso, poiché proprio negli USA a guida obamiana resta saldo e incontestabile l’autogoverno, innanzitutto fiscale, dei singoli Stati, in virtù del quale gli stessi si fanno giustamente concorrenza per invogliare cittadini e imprese a spostarsi from coast to coast e dal confine canadese a quello messicano, in cerca dei sistemi tributari migliori.
E così, lo stesso Foglio cui Fassina ha concesso l’intervista citata, il giorno successivo raccontava che il Mississippi, per ironia della storia antica colonia francese fondata nel 1699 dall’esploratore Pierre Le Moyne d’Iberville, si appresta a dare un bienvenue ai cittadini francesi che intendessero trasferirvisi, per fuggire letteralmente da quell’inferno fiscale che si appresta a diventare la Francia, secondo i desiderata del neopresidente della gauche Hollande, anch’egli tanto amato dai piddini nostrani, veri e propri fanatici della tassazione a prescindere. Non solo: lo stesso articolo metteva in risalto il fatto che i francesi in fuga potrebbero essere maggiormente tentati dal Texas, così come lo sono già state molte aziende della californiana Silicon Valley, abbandonata per le Silicon Hills di Austin, meno note finora ma anche meno tassate.
Il principio della concorrenza fiscale fra entità federate è il fondamento stesso del patto federale. Se tale principio venisse meno, come vorrebbero i novelli centralizzatori alla Fassina, si avrebbe la fine di qualsiasi autogoverno effettivo. L’esempio statunitense citato, così come il vicino sistema svizzero, dimostrano pienamente che gli Stati federali sono la patria della concorrenza fiscale e che tale meccanismo consente in modo virtuoso alla generalità delle entità federate di mantenere una tassazione media ragionevole. Del resto per chi, come taluni ricchi autoflagellantisi e propensi ad invocare maggiori aliquote per se stessi, fosse preferibile una tassazione spietata à la francaise, resterebbe sempre possibile compiere il tragitto inverso rispetto a quello di coloro che saggiamente preferiscono i paradisi agli inferni fiscali: un biglietto di sola andata per la Francia (o per lo stato italiano). Nulla impedisce a chi voglia pagare tasse su tasse, fino a percentuali semplicemente folli, di poterlo fare, trasferendosi in quegli stati che pratichino tale forma di prelievo insensato e contrario a qualsiasi crescita economica, come dimostra perfettamente il caso italiano.
Ma che non ci venga tolta la possibilità di poter avere sistemi tributari umani e intelligenti, non solo negli States d’oltreoceano o nella Svizzera indipendente da tutto e da tutti: vogliamo una Repubblica Lombarda indipendente nell’ambito dell’Unione Europea e vogliamo quindi che tale Unione si fondi sul diritto delle entità che la compongono di poter decidere liberamente e senza vincoli il proprio livello di tassazione sui redditi e sui patrimoni.
Su questo punto non transigeremo nè ora nè mai.

Alessandro Storti

www.prolombardia.eu

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