Le FlâneurVademecum di suggestioni licenziose

Gentili signore tutte, il brutto di alcune sere dissolute è che finiscono in fretta. Per definizione, per disgrazia o forse per il libero arbitrio di chi sceglie di consumarsi velocemente. Il bello...

Gentili signore tutte,
il brutto di alcune sere dissolute è che finiscono in fretta. Per definizione, per disgrazia o forse per il libero arbitrio di chi sceglie di consumarsi velocemente. Il bello di alcune sere licenziose è che riempiono un vuoto che non si sapeva di avere. Sono una piacevole ballata che tira fuori le lacrime conservate chissà da quanto.
Molti giri di orologio addietro La scorsi guardando distrattamente allo specchio sulla parete di fronte. Abbandonai per un attimo sul bancone il Canadian Club che stavo riscaldando col tepore del palmo della mia mano. Senza farmi notare scrutai la sua anima. Ripreso il mio rye whiskey, diedi un’occhiata furtiva allo specchio. Lei era ancora lì, seduta a guardar la vita scorrerle innanzi, senza accennare mossa alcuna. Mi avvicinai al suo tavolo e con gli occhi Le chiesi se altre dita avevano corso lungo la sua mano. Rispose solo con un sorriso. Mi sedetti senza lasciare il tempo alle grette smancerie di prendere il sopravvento. Per ore nemmeno una parola ferì l’aria e di questo Dio ce ne fu grato. Lasciai, soltanto, che l’aroma del whiskey cullasse il mio palato e le sue narici.
Quando la notte non chiese altro che non fosse un addio, Lei si alzò. La vidi in un angolo della sala, che con le mani in aria disegnava i contorni di un sogno. Sfioro i miei gemelli. Si inerpicò lungo la mia spalla, agguantò il mio collo e mi costrinse per un brevissimo momento ad una lotta impari e interminabile. Ci incamminammo senza meta. Aspettammo su una spiaggia che giungesse a noi la quiete. Poi, d’incanto, la petite mort. In un istante, tutto si fece buio. L’amai segretamente, ma non gliene feci mai parola.
Un ubriacone sudicio e saggio, una sera passata a far mostra di sé, esibendosi in tuffi carpiati dentro a barili di irish whiskey, mi confidò: “Nessuno può dire di aver vissuto, se non si consuma al tavolo della vita. Bisogna rischiare, bluffare, vivere. Il destino capirà. Preservarsi non serve a nulla, di certo non serve aspettare giorni migliori, diversi da quelli che si vive.

Devotamente Vostro

GianMaria D’Aspromonte

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