di FERNANDA FAINI – http://www.officinedemocratiche.it
ll rapporto della società italiana con le tecnologie è ancora patologico e questo semplice dato aiuta a delineare alcune linee di sviluppo da intraprendere. Innanzitutto devono essere creati i presupposti delle strategie di innovazione, che riguardano la società stessa. La condizione essenziale è il possesso di beni tecnologici per cittadini e imprese (anche le piccole), ma ancor più la possibilità di accesso alla rete e la capacità di utilizzo degli strumenti. In una parola si tratta di superare il digital divide ancora troppo forte nel nostro Paese (geografico, generazionale, legato allo status sociale, fra grandi e piccole imprese).
Il divario digitale si pone come ennesima violazione dell’art. 3 della Costituzione. Pertanto è la stessa carta costituzionale a imporre il suo superamento e il soggetto chiamato in causa a tal fine non può essere che quello pubblico. Si tratta quindi di infrastrutturare il territorio in banda larga per rispondere alla necessità di garantire a tutti l’accesso alla rete, cui deve affiancarsi una forte azione di alfabetizzazione informatica: si deve cioè rispondere alla necessità di creare le competenze necessarie all’utilizzo delle tecnologie, profilo finora trascurato a vantaggio del primo aspetto, ma ugualmente essenziale.
E’ necessario poi intervenire sulla pubblica amministrazione dando linfa a diritti e strumenti normativamente previsti relativi alla sua digitalizzazione. In materia finora il peggior problema che scontano le leggi è quello di essere rimaste sulla carta. Il fallimento nell’attuazione delle norme è dovuto anche alla mancanza di investimenti dedicati. Pertanto non hanno senso riforme a costo zero che confidano nelle economie che per realizzarsi hanno bisogno di risorse di partenza. Proprio il momento di crisi impone di non commettere l’errore di ritenere prioritario altro mettendo in secondo piano questi aspetti.
Occorre avere il coraggio di assumere una scelta e compiere un serio investimento al fine di una digitalizzazione effettiva che permette un recupero di tempi e costi con effetti positivi sulla stessa competitività del Paese: basti pensare alle tagliole burocratiche che rallentano il sistema produttivo. Una volta creati questi presupposti si possono sfruttare i vantaggi delle tecnologie e tracciare le linee di un governo aperto. Ciò presuppone un approccio aperto: la società attuale esige un cambiamento che segua l’evolversi delle relazioni e dei mezzi di comunicazione a sua disposizione. Questo comporta una serie di cambiamenti nell’assetto istituzionale e organizzativo: il superamento della logica verticale per abbracciarne una orizzontale fatta non di gerarchie e assegnazioni dall’alto, ma di progetti e collaborazione. Ciò significa fra istituzioni diverse non competizione, ma collaborazione, lavoro per obiettivi, condivisione dei dati. Vuol dire far predominare la logica della best practice e del riuso e non un sistema in cui tutti fanno tutto con il risultato di costi e tempi che si moltiplicano.
Nel rapporto delle istituzioni con cittadini e imprese significa sfruttare i vantaggi dell’apporto collaborativo e del feedback di chi fruisce dei servizi on line: wiki e social network sono “strumenti della realtà”, non c’è alcun motivo perché le istituzioni italiane non li utilizzino. Come conseguenza si delineano gli elementi di un governo basato sul riuso di buone pratiche, sugli open data (i dati sono della collettività e lì devono tornare) e su relazioni con gli utenti improntate alla partecipazione immediata e continua per mezzo delle tecnologie. Gli effetti sono stimabili in risparmi di denaro e di tempo, miglioramento nella qualità dei servizi resi, recupero di credibilità e fiducia nelle istituzioni.
L’effetto finale sta nel guadagno complessivo del sistema Paese.