E’ un quadro politico e umano contrastante quello tratteggiato dalle cronache degli ultimi giorni. Un gioco di opposizioni inconciliabili, che danno vita ad una commedia dell’arte ove si intrecciano, in un ritmo serrato e quasi teatrale, ruoli, caratteri e azioni tipiche.
La grossonalità e l’arroganza impudente del consigliere Franco Fiorito, emblema di un sistema politico regionale ormai logoro, si scontrano con la vergogna e la mortificazione del Presidente della Giunta, Renata Polverini. Lo slancio propositivo e lo scatto d’orgoglio, nella parte finale del lungo discorso di ieri, a voler riscattare e rivendicare la propria dignità e della Regione tutta, si mescolano, senza amalgamarsi, ai fatti. Rendendo il contrasto dolente.
Renata Polverini ha chiesto scusa a tutti. Ai cittadini, della propria regione e dell’intero Paese, alla politica perbene, alle Istituzioni, finanche agli operai Fiat dello stabilimento di Cassino.
Ha implorato il perdono collettivo per l’ennesima “catastrofe della politica italiana”: un sofferto ‘mea culpa’ che non cancella l’orrendo spettacolo né l’arrogante derisione con cui l’ex capogruppo del Pdl, Franco Fiorito, ha ammesso di aver sottratto ingenti somme di denaro pubbliche per altri scopi, molto distanti dall’impegno politico. ( al Fatto quotidiano ha confessato di aver comprato un Suv Bmw da 88 mila euro, perchè “di quella macchina ne avevo davvero bisogno”)
Ha chiesto scusa, ha fatto ammenda delle colpe di alcuni membri non immacolati del Consiglio. Si è vergognata e umiliata, ma mai quanto i cittadini della sua Regione, ben prima di lei.
Le scuse, infatti, questa volta non bastavano. Non erano sufficienti. Non dovevano esserlo.
Di fronte alle ammissioni di Fiorito ai giornali e agli inquirenti, che lo accusano di peculato, il Presidente doveva dimettersi.
Doveva prendere le distanze politicamente e moralmente da uno scandalo, maturato alle sue spalle nel corso di due anni di legislatura, che non ha saputo impedire, con la giusta e diligente vigilanza, né stigmatizzare sufficientemente.
Le dimissioni di Renata Polverini erano doverose – il passo necessario – anche perchè “l’affaire Fiorito” evidenzia un profondo problema politico: l’inequivocabile assenza di leadership politica del Presidente della Giunta, incapace di esprimere una guida forte e carismatica, di indirizzare autonomamente la linea programmatica e di decidere con autonomia e discrezionalità.
Alle spalle del Presidente, per due lunghi anni, si sono tessute le sottili trame della politica locale, si sono scontrati interessi e convenienze di partito, dinnanzi alle quali nulla ha potuto, perchè nulla poteva.
Le dimissioni erano l’unica chance di uscire a testa alta, prendendo le distanze e rivendicando la moralità del proprio operato, da giochi di Palazzo ormai divenuti per Lei incontrollabili. Ed erano il passo necessitato anche perchè aveva il dovere di assumersi la responsabilità politica e oggettiva di quanto accaduto in seno al gruppo consiliare, di cui non è leader, ma espressione.
Ha prevalso invece la collaudata “strategia dell’emergenza”, cui il nostro Paese da decenni è abituato. Il vertice politico, responsabile, anche moralmente, dell’operato delle Istituzioni che guida e controlla, prende atto, dell’emergenza come dello scandalo, e agisce di conseguenza.
Dopo. Sempre dopo.
Non conta, si giustificheranno, chiedersi come mai nessuno si fosse accorto di alcunchè, data la vastità delle malefatte, né tantomeno interrogar loro se avessero potuto attivarsi prima. Non importa cosa si poteva fare prima, risponderanno, secondo un copione noto, pronti ad agire subito dopo.
Così si è agito anche in Regione Lazio.
Delle due l’una: o il Presidente Polverini non ha potuto arginare né porre rimedio allo scandalo che montava, perchè lasciata sola e incapace di esprimere una leadership adeguata; oppure non ha avuto il minimo sentore, né sospetto di quello che accadesse alle spalle dei cittadini e dell’ufficio di Presidenza.
Comunque siano andate le cose, la scelta obbligata coincideva con le dimissioni: nel primo caso, prendendo atto di fronte agli elettori del Lazio di non aver saputo onorare il mandato elettorale; nel secondo caso per una responsabilità politica e oggettiva.
Si è preferito imboccare, invece, la via più piana. La vergogna e la mestizia iniziale sono state scalzate dal tono duro e deciso del vecchio leader sindacale, propositivo ed efficace.
Ma non basterà il cambiamento del tono, davanti alle telecamere, per segnare davvero un nuovo corso. Gli uomini e i mali della Regione restano lì. A guardare. La nettezza del suo aut aut ( o si approvano i tagli – dopo lo scandalo, non considerando i denari pubblici già perduti – o mi dimetto) non ha convinto nessuno. Era fuori tempo massimo.
Negli altri paesi funziona diversamente: da un fatto che mina la credibilità delle Istituzioni se ne traggono immediatamente le conseguenze. Il braccio di ferro tra Polverini e il Pdl, finirà per spezzare la prima, sempre più sola. E le ripercussioni sull’agenda di governo si faranno presto sentire.
Non passerà alla storia questo Consiglio regionale. O meglio, forse sì, ma segnerà una pagina, che i cittadini del Lazio avrebbero preferito strappare.
p.s. Due giorni dopo sul Corriere esce questo articolo sulle spese della presidente e della giunta. Una lettura che risulta tanto più istruttiva, dopo la sceneggiata dell’altro giorno.