Nell’incontro con gli altri individui della razza umana mediato dalla pancia si evidenziano differenti categorie di persone. Ci sono i “civili”, che ti offrono il posto in autobus oppure ti fanno passare avanti alla fila. Ci sono gli “indifferenti”, che non hanno nulla a che fare col romanzo di Moravia ma più semplicemente cercano, per proprio quieto vivere, di non vedere che sei in difficoltà. Praticamente ti ignorano, da cui la possibile seconda definizione di “ignoranti”.
Poi ci sono i “vecchi”. Anzi, più spesso, le “vecchie”.
Le “vecchie” sono le anziane cattive. Hanno lo sguardo truce e frustrato di chi, forse stretto tra l’artrite e l’incontinenza urinaria, a poche fermate dal capolinea della propria esistenza pensa che il mondo debba girare tutto intorno a sé. Non ti faranno passare avanti nella fila nemmeno se nel locale ci sono 35 gradi e tu sei visibilmente provata e ti stai sventolando – senza successo peraltro – con un vecchio scontrino. Loro non hanno fretta né urgenze particolari, non hanno impegni di lavoro né altri familiari da conciliare. Eppure non ti concederanno nessun gesto di gentilezza. Anzi, se possibile ti passeranno avanti con finta nonchalance, come se in una gara a punti la loro – forse assai magra – esistenza contasse più di qualsiasi altra. Ti passeranno avanti e ti ruberanno il posto, senza degnarti nemmeno di uno sguardo. E no, non è (solo) per la cataratta!
Di individui appartenenti a tale purtroppo non in estinzione categoria ne ho incontrati parecchi negli ultimi mesi. Solo donne per la verità. Cioè, vecchie.
L’ultima ieri pomeriggio, in farmacia. Era il terzo negozio che visitavo, alla ricerca di un antibiotico per un problema che, statistiche alla mano, mi vedeva ancora una volta dalla parte sbagliata e dunque tra le gestanti che necessitano di cura.
Varco le porte scorrevoli: temperatura esterna 16 gradi, interna almeno 32 con le farmaciste in canotta (e forse, sotto il bancone, anche in infradito). Prima una, poi un’altra signora “civili” mi offrono di passare in testa a una fila di otto persone. Davanti a me rimane solo lei: altezza un metro e cinquanta per ottanta chili, carrè in testa che non vedeva un parrucchiere dagli anni Cinquanta (lo si intuiva facilmente dai 10 centimetri di ricrescita bianca con occasionali striature d’olio da mancanza di shampoo). Le sono di fianco, ma resto invisibile. Non mi guarda, non si volta proprio, finché si libera una farmacista e lei, recuperando uno scatto felino di gioventù, si fionda al bancone.
Spero che abbia comprato una confezione maxi di pannoloni. O di supposte. O entrambe.