Finché non sente con le proprie orecchie il telespettatore non ascolta. Finché non legge virgolettati di intercettazioni il lettore non si interessa. A screditare Berlusconi agli occhi della maggioranza degli italiani non sono stati gli anni di rigorose inchieste, robusti libri, ben strutturati processi, ma gli audio della sua vivavoce a colloquio con le olgettine.
Allo stesso modo da settimane si discute sulle dinamiche di potere interne al Movimento 5 Stelle, a partire dalla figura di tal Casaleggio, presunta mente dell’operazione Grillo. Per portare al centro dell’agenda la questione è però servita la voce captata in un bar di tal Favia, eletto tra i primi nelle liste stellate, che raccontava come, secondo lui, sono gestite le cose a Casa Grillo.
Ascoltare le voci senza commento alcuno, leggere i contenuti degli interrogatori senza apparenti mediazioni è l’unico strumento che muove coscienze e solleva indignazioni.
Dopo anni di retroscenismo giornalistico, di ricostruzioni politiche che dicono il vero, il falso e il loro contrario nel breve volgere di dodici click, i cittadini non credono più a chi spiega o cerca di spiegare.
Vogliono sentire, vogliono mettere l’orecchio al muro e l’occhio nello spioncino. Poco importa se la ricostruzione di un interrogatorio omette certe parti e ne mette in luce altre portando il lettore esattamente dove vuole portarlo chi ricostruisce; poco importa l’attendibilità dei vari Lusi, Favia o Sabina Began. Così come non importa la tempistica con cui le testate tirano fuori quello o quell’altro contenuto. L’illusione di abbeverarsi alla fonte delle notizie oscura ogni potenzialità critica dello spettatore.
Toglietevi di mezzo editorialisti e narratori, sembra dire lo spettatore, lasciateci ascoltare da soli quello che dicono i potenti quando non pensano d’essere ascoltati.