di Barbara Bernardi
Quasi tutti i popoli raccontano che il giardino è il luogo d’origine dell’uomo; per molti è anche il luogo di arrivo. Il termine giardino ha radici antichissime: una fra tutte la parola greca kepos, intesa come recinto protetto e anche grembo materno.
Il kepos greco descriveva un giardino di delizia, fecondo, ricco di fiori e frutti, dedicato agli dei e frequentato dai pensatori.
Questo giardino nasce con Socrate: il filosofo si stupiva di come la natura, trasformata in giardino, favorisse il dialogo e il pensiero. I giardini permettevano di passeggiare parlando e riflettendo: erano i luoghi ideali di questo momento intimo e contemplativo.
Molte caratteristiche di questo giardino dell’origine mi fanno pensare al libro:
- Il giardino, come il libro, è un mondo racchiuso, protetto e ordinato dalla mano del suo creatore.
- Entrambi sono luoghi che si offrono allo sguardo, alle azioni, alle cure dell’uomo che li percorre, li attraversa dotandoli di senso.
- Sia i giardini che i libri, con i loro recinti, spingono l’uomo a cercare nello spazio dell’immaginazione, quella che sta oltre il limite e il confine.
- Una volta che il giardino è stato conosciuto l’uomo esce, scopre con occhi nuovi la natura che circondava il recinto, torna alla vita.
Così fa il libro con il suo lettore: gli apre porte e cancelli, lo riporta alla vita dopo averlo spinto al limite, dopo averlo condotto o fatto perdere, dopo avergli anche permesso di scegliere il momento in cui uscire, trasformato, nel mondo.
Ho letto in un giardino Chi è morto alzi la mano della giallista Fred Vargas.
Il contesto ideale visto che il libro inizia raccontando di un faggio maestoso che spunta, improvviso, nel giardino di Sophia.
Quel faggio non l’aveva piantato un giardiniere, ma di più non posso dire.
Aprite il cancello. Fred Vargas ha un grande giardino.