La cultura è pragmatismo. «Primum vivere deinde philosophari».
Bisogna ‘sporcarsi le mani’, saper fare. Non solo pensare.
Non è un’eresia ma la nuova aria che si respira a Venezia in un laboratorio progettuale continuo, dove si accumulano idee per costruire un futuro, lontano dalla crisi, e dove il trainer dello sviluppo è la cultura.
Gli stimoli sono diversi, spesso sembrano lontani, ma vanno annodati nel racconto dei loro testimoni. Come l’incubatore M31 – cinque imprese, 120 ragazzi più cento occupati nell’indotto – nato da un’idea di Ruggero Frezza, professore universitario che ha abbandonato la cattedra per fare l’imprenditore.
A metà dicembre un ‘pezzo’ di M31 traslocherà da un moderno capannone in una villa del ‘500 costruita da un’antica famiglia veneziana. Qualcuno ha mai pensato a quanto potrebbe essere uno stimolo, per chi fa prodotti d’ingegneria e li costruisce dando linfa a una filiera, lavorare ammirando affreschi?
Poi c’è il binomio economia-cultura da legare all’inverso. Come? Lo spiega Innocenzo Cipolletta. «L’ambizione è vedere qualche museo trasformato in fabbrica. Abbiamo già fabbriche che sono diventate musei. Sono anni che l’arte contemporanea ha lasciato quella visiva ed è approdata a materiali industriali come plastica, organico e riciclo. C’è però un problema di conservazione di questi materiali e servono tecnologie per conservare quelle che sono operazioni artistiche di questi anni. E per far questo serve l’Università».
Stefano Micelli, economista autore del volume «Futuro artigiano» ricorda infine le scuole e gli esami sostenuti negli Stati Uniti. «A fine corso – narra – mi chiesero di costruire una macchinina giocattolo». «Dopo tanto studiare la valutazione approdò al saper fare».
«Artigiano è una parola dal sapore antico e polveroso ma bisogna fare i conti con questo percepito e guardare oltre in una prospettiva diversa – rilancia l’economista –. I campioni della rinascita manifatturiera in America sono i nuovi tecno-artigiani che rivendicano un ruolo da protagonista perché sanno fare le cose. In Italia soffriamo di una cultura passatista. Ma artigiano non è solo piccola impresa (vedi Bottega veneta, ndr) e non è solo tradizione (e cita il caso di Massimo Banzi, inventore del microprocessore Arduino)». Ma c’è anche la nuova torre di Istanbul con 196 appartamenti e 196 diverse cucite personalizzate. Com’è possibile per un’azienda rispondere a una tale richiesta senza fallire? «Grazie all’abilità manuale» risponde Micelli.
Insomma: serve più rispetto per la cultura del fare. Ma anche trovare il modo per valorizzarla e non far estinguere le competenze. La cultura ha bisogno di «primum vivere post filosofare» chiude Sandro Boscaini l’uomo dell’Amarone e della Masi Agricola. «L’Amarone è qualcosa di più di una cartolina da San Marco è il distillato di una cultura ininterrotta dalla romanità ad oggi, è il sapore della nostra terra, l’ingegno della nostra gente e l’imprenditorialità del nuovo Marco Polo che si fa capire e apprezzare stabilendo rapporti. E’ questo il mondo che ci distingue qui a Nordest: non visioni ma pratiche d’impresa».
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