“…siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!” recita una delle strofe principali dell’inno dello Stato italiano.
Una frase molto impegnativa, che in molti si son visti costretti a rispettare; proprio oggi, IV Novembre, il pensiero non può far altro che andare alle migliaia di soldati, lombardi e non, inviati al macello per una guerra inutile sotto tutti i punti di vista ma essenziale per tentare di “fare gli italiani”.
Lo Stato-nazione “Italia” mostrava al mondo quindi la sua vera natura e il suo vero “perché”: in più si è, più soldati hanno a disposizione coloro i quali comandano per soggiogare ulteriori territori.
Chiuso il doveroso ricordo, è utile riutilizzare la strofa dell’inno di Mameli anche per quel terremoto politico che sta scuotendo la Lombardia (uno dei tanti, a dire il vero): la soppressione delle province.
Politici locali si ricordano, improvvisamente, di essere prima mantovani, lodigiani, monzesi, varesini, prendendo le distanze dalle decisioni dello stesso partito ove militano.
Qualcuno mesi fa gridava (nel senso “manzoniano” del termine, ovvero grida fine a sé stessa e incompiuta) boicottaggi verso l’ordine romano, eppure nella solita e placida tranquillità il progetto si è compiuto con l’avallo di tutti.
Nella splendida Mantova (Patrimonio dell’Umanità UNESCO, tanto per dire) ora ci si chiede se non sia il caso di creare una “Grande Mantova”, fondendo tutte le realtà comunali locali in una sola; comuni della parte superiore dell’ex provincia, inoltre, intendono aggregarsi a quella bresciana.
Salti mortali politici piuttosto tragicomici, secondo la nostra visione.
Quando, per “risparmiare” (come se il debito pubblico da 2mila miliardi di € fosse colpa delle province lombarde) il governo di Roma imporrà loro ulteriori tagli, cosa si inventeranno, i placidi lombardi?
Canteranno ancora “…siam pronti alla morte, l’Italia chiamò!” e silenziosamente obbediranno o decideranno per la propria autodeterminazione, come in Scozia, Catalogna e prossimamente Fiandre?
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Giovanni Roversi