La campagna elettorale è ufficialmente cominciata, per chi non se ne fosse accorto. Nel caos generale che regna sovrano tra i partiti italiani (primarie sì, no, forse per il Partito Democratico, rinnovamento dell’alleanza ventennale PDL – Lega Nord, ma con quale candidato?), si aggiunge una tematica a primo avviso poco importante, ma da un significato non indifferente: la data delle elezioni e l’accorpamento con il rinnovo del Parlamento dello Stato italiano.
L’ex maggioranza di Palazzo Lombardia, PDL – Lega Nord per voce dei propri segretari preme per l’accorpamento delle elezioni, mentre il PD invoca una separazione. Anche il Presidente uscente della Giunta lombarda, Formigoni, preme per quest’ultima ipotesi.
Lo “spauracchio” utilizzato dagli “aggregatori” è semplicemente uno: siamo in crisi economica, bisogna risparmiare. Il ragionamento avrebbe anche un suo senso, se non nascondesse un significato nascosto e un precedente che non pende a loro favore.
Aggregare porterebbe inevitabilmente all’oscuramento della campagna elettorale dell’elezione ritenuta meno importante, in questo caso proprio le elezioni lombarde. Si finirebbe quindi a parlare unicamente dell’esperienza Monti, e in molti si potrebbero permettere di “sorvolare” su quanto fatto, o non fatto, durante la propria attività a Palazzo Lombardia.
La Lombardia e i lombardi necessitano di governi (in tutti i livelli) seri, con piani politici ben strutturati e finalizzati unicamente al benessere e prosperità della nostra comunità. Nascondere la polvere sotto il tappeto del “contrasto/favore” nei riguardi del governo Monti non farebbe altro che aumentare il disinteresse dei lombardi verso la politica, e a buon ragione.
Il precedente sovracitato, invece, è particolarmente curioso: i partiti “aggregatori” sono gli stessi che, un paio di anni fa, si rifiutarono proprio di aggregare le elezioni amministrative comunali con il referendum su nucleare, legittimo impedimento, acqua pubblica. Chi oggi si straccia le vesti in nome del risparmio, all’epoca non volle proprio risparmiare, nonostante fossimo comunque in un periodo di crisi. Tra le motivazioni, all’epoca, c’era il ridicolo “rispettare la volontà di chi non intendeva presentarsi a votare al referendum ma solo alle elezioni”, come dire, tutelare chi vuole andare in montagna anziché partecipare attivamente alla vita politica. Il punto era ovviamente un altro: puntare sul mancato quorum (strumento esistente solo nello Stato italiano e negli Stati usciti dalla dittatura sovietica, tanto per far comprendere il profondo senso di democraticità insito) per far fallire la consultazione.
Il non aggregare i referendum con le elezioni è una prassi (che a livello giuridico è sinonimo di consuetudine, quindi fonte di diritto regolabile benissimo con una legge apposita o decreto) utilizzata dai Governi italiani, gli stessi che ci stanno portando al fallimento. In Sardegna, per esempio, si votò aggregando le elezioni amministrative proprio con i referendum locali.
Ricapitolando, la Lega Nord di Roberto Maroni (ora candidato alla presidenza della Giunta lombarda, allora proprio Ministro degli Interni dello Stato italiano, colui il quale doveva insomma decidere l’aggregazione o meno) e il PDL di Angelino Alfano (allora Ministro della Giustizia, ora segretario di un partito orientato verso una debacle sempre più probabile) sono “aggregatori” e “risparmiatori” ad orologio ed a convenienza politica; non si lamentino, poi, se la fiducia dei lombardi nei loro riguardi subirà un drastico calo.
Giovanni Roversi