Di recente ho letto un libro molto interessante, anche se un po’ semplicistico, di Daron Acemoglu e James Robinson, “Why nations fail: the origins of power, prosperity and poverty”.
Fa parte della lunga lista di libri dal titolo apocalittico che mi piace tanto comprare, però il tono ottimistico della tesi (di cui parlerò in futuro) mi ha dato un’idea di superficialità.
Comunque, leggendo un romanzo mi è tornata in mente questa parte del libro:
La comunità internazionale pensò che tutto ciò di cui l’Afganistan aveva bisogno fosse una gran quantità di aiuti umanitari. Rappresentanti dell’ONU e di alcune importanti ONG presto arrivarono nella capitale Kabul.
Ciò che seguì non avrebbe dovuto essere una sorpresa, soprattutto considerato il fallimento degli aiuti umanitari a paesi poveri e stati falliti negli ultimi cinquanta anni. Sorpresa o meno, il solito rituale fu ripetuto. Dozzine di operatori umanitari con i loro entourage arrivarono in città sui loro jet privati, ONG di tutti i tipi arrivarono per perseguire la propria agenda e discussioni ad alto livello iniziarono tra i governi e le delegazioni della comunità internazionale. Miliardi di dollari arrivavano ora in Afganistan. Ma pochi servirono a costruire infrastrutture, scuole o altri servizi pubblici essenziali per lo sviluppo di istituzioni inclusive* o anche per ripristinare la legge e l’ordine. Mentre gran parte delle infrastrutture rimanevano in rovina, la prima parte dei soldi fu usata per commissionare un aereo per trasportare in giro ufficiali dell’ONU e altre organizzazioni internazionali. L’altra cosa di cui ebbero bisogno furono autisti e interpreti, così presero i pochi burocrati anglofoni e il resto degli insegnanti delle scuole afgane per portarli in giro, pagando loro multipi dei salari afgani tipici. Siccome i pochi burocrati competenti erano relegati a servire la comunità degli aiuti internazionali, il flusso di fondi, anziché costruire infrastrutture in Afganistan, iniziò a minare le stesse fondamenta della nazione afgana che si riteneva dovessero costruire e rafforzare.
Il romanzo parlava di “Elefanti Bianchi”, l’equivalente internazionale delle italiche “Cattedrali nel Deserto”, però pare che il mondo sia proprio piccolo, a volte, e altre pare che la realtà sia la caricatura della letteratura.
Che dire? La situazione è tragica ma non è seria.
Pietro Monsurrò
@pietrom79
* “Istituzioni inclusive” è uno dei concetti del libro.