L’ esigenza di far cassa per rispettare il patto di stabilità ha costretto molti Enti locali ad alienare le proprie partecipazioni aeroportuali prima della fine dell’ anno. Il Comune di Venezia ha venduto il suo 14% di SAVE al fondo Amber, dopo aver rifiutato una precedente offerta da parte del gruppo che fa capo a Marchi e che controlla gli scali di Venezia e Treviso.
A Torino invece il Comune ha venduto il suo 28% di SAGAT al fondo F2i, che comprando contemporaneamente il 24,38% detenuto dal gruppo Benetton si è assicurato il controllo dello scalo torinese e partecipazioni minori in quelli di Firenze e Bologna.
Infine F2i ha rilevato il 14,53% di SEA che la Provincia di Milano non era riuscita ad alienare nella fallita quotazione in Borsa e che va ad aggiungersi al 29,75% comprato dal Comune di Milano alla fine del 2011. Ora F2i ha dunque il 44,28% di SEA, pronto ad assumerne il controllo appena Palazzo Marino sarà costretto a vendere un’ ulteriore quota e ben protetto dai patti parasociali nel caso in cui Pisapia preferisse un altro acquirente per il pacchetto di maggioranza.
Contemporaneamente la firma governativa del contratto di programma con Aeroporti di Roma e la cancellazione del previsto aeroporto di Viterbo, che sarebbe stato a suo carico, danno al gruppo Benetton la sicurezza di poter mantenere il controllo di Fiumicino, pur con un impegno finanziario molto elevato che ha consigliato di monetizzare le partecipazioni negli aeroporti minori come Torino.
Nell’ insieme si tratta di una svolta importante per gli aeroporti italiani, avviati a non essere più controllati dalla politica locale, che ne ha condizionato gli sviluppi in modo molto negativo. Solo Fiumicino non è mai stato del Comune e dalla proprietà IRI è passato attraverso una privatizzazione discutibile al controllo dei Romiti con una leva finanziaria esagerata, che ha di fatto impedito i necessari investimenti. Il passaggio ai Benetton ha migliorato solo marginalmente la situazione e l’ indispensabile e tardivo adeguamento dello scalo potrà avvenire solo con la maggiorazione delle tariffe appena approvata.
Bassolino vendette l’ aeroporto di Napoli agli Inglesi di BAA, che ha loro volta l’ hanno ceduto a F2i e molti aeroporti minori sono diventati delle società miste con soci pubblici e privati, talvolta quotate in Borsa come i due aeroporti toscani di Firenze e Pisa e generalmente con risultati modesti, sia a causa della ridotta dimensione che della difficoltà di accontentare i soci privati interessati al profitto insieme a quelli pubblici che preferiscono lo sviluppo quantitativo per le ricadute politiche che genera.
SAVE a Venezia è stata un’ eccezione positiva, sia per la chiara leadership del privato sia per le ben maggiori potenzialità del mercato, che unisce all’ attrattiva turistica globale di Venezia la forza dell’ economia locale. L’ accordo con l’ aeroporto di Treviso e quello di Trieste-Ronchi rafforzano la posizione competitiva nei confronti delle compagnie aeree.
Tralasciando dall’ analisi gli aeroporti del sud e delle isole, che sono molto importanti per l’ economia e la stessa mobilità della popolazione, ma contano meno a livello di business, l’ Italia aeronautica si divide nei due grandi poli di Roma e del Nordovest, di grandezza equivalente, più quello minore veneto. Se entro il 31 dicembre ci sarà l’ auspicata ratifica governativa del contratto di programma con SAVE si potrà dire che il polo romano e quello veneto saranno in una situazione stabile, a parte, si fa per dire, le conseguenze della crisi di cassa Alitalia che pare approssimarsi.
La palude del sistema aeroportuale del Nordovest potrebbe invece avere uno sviluppo positivo se la marcia fin qui vittoriosa di F2i proseguisse come Gamberale desidera e portasse sotto un unico controllo l’ esagerato numero di aeroporti, Torino, Malpensa, Linate, Bergamo, Brescia e Verona che facendosi concorrenza esagerata sono troppo deboli per confrontarsi con le compagnie aeree e, dall’ elevato traffico aereo della zona, non hanno ricavato che un aeroporto intercontinentale dimezzato come Malpensa.
Il tema però è troppo lungo per essere trattato qui e gli dedicherò un pezzo separato. Per ora mi limito a commentare la sanguinosa battaglia fra Comune di Milano e Gamberale, che ha visto sbaragliata l’ amministrazione Pisapia.
Volendo vendere continuando però a comandare in SEA, tutti gli inquilini di Palazzo Marino hanno sempre preferito come soluzione la Borsa e l’ illustre precedente è quello di Gabriele Albertini che vendette in piazza Affari la maggioranza di AEM, imponendo uno Statuto che comunque dava al Comune, minoritario, la maggioranza nel consiglio di amministrazione, brillante trovata “liberale” che durò fino a quando non venne spazzata dall’ Unione Europea, al che si ricorse alla fusione con la municipalizzata bresciana, creando A2A in cui per gonfiare il peso della politica milanese si è infilata anche la nettezza urbana.
Per giudicare l’ opportunità di mantenere SEA sotto il controllo comunale basta ricordare la recentissima sentenza UE che obbliga SEA Handling a restituire la bellezza di 360 milioni di euro alla capogruppo, che negli anni d’ oro dell’ hub Alitalia ripianava metodicamente i suoi mostruosi deficit. L’ abbandono di Malpensa da parte di Alitalia ha costretto poi ad una doverosa ristrutturazione e SEA Handling pare oggi in equilibrio, ma se si confronta lo spreco di quei 360 milioni con l’ attuale valutazione di SEA, che solo per il generoso Gamberale vale un miliardo, ci si rende conto dello sperpero di denaro pubblico che è avvenuto negli anni delle vacche grasse.
Peggio ancora la questione Malpensa, Albertini prima e Moratti dopo hanno insistito per mantenere aperto Linate, come del resto piaceva ai loro elettori, ma in questa situazione Malpensa non può essere hub, si è fatta scappare Alitalia come prima KLM e poi Lufthansa e il conto è di decine di milioni di utili e dividendi in meno ogni anno e una diminuzione del valore di SEA di almeno un miliardo. Non so come, con questo brillante palmarès, Albertini possa pensare di candidarsi alla Presidenza della Regione Lombardia anziché ritirarsi come eremita nella Tebaide a pentirsi dei propri errori.
SEA dunque per decenni è stata per la politica una vacca da mungere e infatti alti lai si levano sia da destra che da sinistra contro la privatizzazione e il rischio di perderne il controllo.
Gamberale ha acquistato l’ anno scorso il 29,75% dal Comune, ritrovandosi invischiato in un’ indagine della magistratura che evidentemente ha ipotizzato che il prezzo pagato di 5,17 euro per azione fosse stato di favore, ma in Borsa non si è riusciti a vendere a 3,2 euro, con i consiglieri di F2i che avvertivano il mercato che venivano nascosti i recenti negativi dati di traffico.
F2i dunque riteneva che quei 3,2 euro per azione richiesti in Borsa fossero eccessivi, ma qualche settimana dopo et voilà ecco Gamberale che compra dalla Provincia di Milano quel medesimo pacchetto di azioni a poco più di 4 euro.
Contraddizione? No, business is business: con una SEA quotata Gamberale avrebbe dovuto valutare le proprie azioni ai prezzi di mercato, se SEA non è quotata può continuare a valutare il pacchetto comprato nel 2011 a 5,17 euro e considerare invece come buon affare il prezzo di 4,039 appena pagato. Sono convenzioni contabili, ma SEA quotata a 3,2 euro avrebbe devastato il bilancio di F2i con ingenti minusvalenze e soprattutto l’ avrebbe costretta a lanciare un’ OPA totalitaria se in futuro avesse superato il 30%, ipotesi sgradita perché Gamberale ha tanti soldi, ma non tantissimi e li vuole usare per sbarcare anche a Verona, Brescia e soprattutto Bergamo.
F2i, avendo ora il 44%, potrebbe crescere senza essere obbligato all’ OPA totalitaria se il Comune ritentasse la strada della Borsa, si assicurerebbe il 50% con poca spesa. Palazzo Marino dunque si vede impedita la strada di vendere SEA a fette annuali, mantenendone il controllo il più a lungo possibile. Il rispetto del patto di stabilità nei prossimi anni e un debito di molti miliardi, mentre SEA dopo il divorzio da Alitalia ha radicalmente ridotto il flusso di dividendi, imporranno certo la vendita di quel che resta e Pisapia potrà solo scegliere se vendere in blocco a Gamberale o ad un altro acquirente, che però dovrebbe rilevare anche il 29,75% che F2i ha acquistato nel 2011 con una clausola protettiva.
La scelta di andare in Borsa è stata fatta da Davide Corritore e Bruno Tabacci per bloccare con uno sgambetto quella vecchia volpe di Gamberale, ma non si vede quali vantaggi avrebbe portato al Comune, a SEA, ai cittadini, ai passeggeri, all’ economia lombarda e soprattutto alla Provincia, che con il successivo bando ha incassato molto di più.
La sconfitta dell’ amministrazione Pisapia è totale, la brutta figura rimediata in Borsa resterà negli annali, Gamberale ha ottenuto esattamente quel che voleva e ora non possono esserci due soci in contrasto in una società che ha anche bisogno di consenso politico per superare lo storico impasse di Linate e fare quello che è chiamata a fare, collegare la Lombardia e la sua economia con il resto del mondo, tenerla al passo con la globalizzazione.
Ora Pisapia, invece di perdersi in beghe inutili con Gamberale, farà meglio a preoccuparsi di SEA, del futuro aeronautico della Lombardia e della valorizzazione migliore del pacchetto di maggioranza. Tabacci va a Roma e Corritore, stratega della sconfitta, pare verrà chiamato a sostituirlo.
Se invece voi avete il sospetto che, dopo che la vendita da parte del Comune a F2i dello scorso anno a 5,17 euro e la successiva indagine della Magistratura, fosse necessaria una fallita quotazione in Borsa a 3,2 euro per poter innanzitutto dimostrare che non era un prezzo di favore e poi per procedere alla vendita delle azioni della Provincia a 4,034 senza incorrere in ulteriori guai giudiziari, se insomma pensate che abbiamo assistito ad una commedia all’ italiana, non mi sentirei di darvi torto.