di Fabrizio Valenza
Un pastore si sveglia di notte. Si guarda attorno. Che c’è di strano, in questa notte? Le stelle continuano a splendere in alto, nel buio di velluto, gli unici preziosi di una vita povera. Le pecore dormono attorno, quiete di animali su una terra arida e calda.
C’è silenzio. Il deserto notturno è luogo di calma. Loro si sono fermati vicino all’oasi, nei pressi di Beit Lehem. Gli animali hanno bisogno di un riparo minimo e l’acqua che emerge dal terreno altrimenti brullo è più che sufficiente per giungere l’indomani al villaggio.
Beit Lehem è una distesa di poche case bianche sulle rocce dei colli. Si dipana come i tappeti dei beduini sulla terra arida. Alcune grotte fungono da riparo per bestie e persone senza casa. Il pastore sa già in quale di quelle grotte porterà il suo gregge, stalla improvvisata e adatta per quei pochi giorni che si fermerà al villaggio.
Quella notte, però, è strana. Se lo ripete. Cos’è quel silenzio sovrumano? È il silenzio del sonno, si dice. No, non è solo quello. C’è anche dell’altro, la presenza di qualcosa.
O forse di qualcuno. Perchè mentre si guarda attorno, ha come l’impressione di non essere il solo pastore della zona. Di certo ce ne sono altri, ma ha una vibrante convinzione interiore che, non appena superata un’altra collina di roccia, possa trovare un altro pastore con il suo gregge, e poi un altro ancora e chissà quanti altri. Cos’è questa convinzione di non essere da solo, si domanda. Non trova una risposta.
Trova qualcos’altro, però. Non se n’era accorto prima. In alto – ma deve guardare proprio sopra la sua testa – c’è una luce che brilla di più. Gli vengono i brividi, è… strana. Anche quella luce è strana. È una stella? Non ne ha mai viste di tanto luminose. Non solo brilla, ma vibra silenziosa, come se la sua luce fosse quella di una candela pronta a spegnersi al primo soffio. La osserva con stupore e nota che si muove. Lentamente, procede di un passo celeste dopo l’altro.
Tra i preziosi del cielo, gli unici che un pastore possa permettersi, capaci di farlo sentire un re, quello è il prezioso più bello. Se ne sente tanto affascinato, silenzioso prodigio notturno, che non intende farselo scappare. Distoglie gli occhi dall’alto per adagiarli sul cane che gli dorme affianco, riconducendoli subito in cima. Vuole essere davvero sicuro che la stella sia lì, che non sia stato solo un sogno. No, tranquillo, c’è ancora. Allunga la mano sul cane, lo sveglia con una botta.
Il cane lo guarda con la bocca un poco aperta, respira in fretta per alcuni secondi e poi fa un soffio indispettito. “Che vuoi?” sembra chiedergli. Il pastore gli dà una pacca sul sedere, il cane capisce. Si alza sulle quattro zampe e abbaia. Il suo abbaiare risuona solitario nella notte, ma le pecore si svegliano, una dopo l’altra. In breve il gregge è pronto per rimettersi in moto. Il cane scodinzola accanto al pastore, poi si butta in mezzo al gregge, che bela in vario modo nel silenzio.
Il pastore si accorge che la stella si è mossa di parecchio. Dove sta andando? Avanti, si mette in moto. Oltrepassa l’oasi. Sale sulla collina, oltre la quale non ci sono altri pastori. C’è solo Beit Lehem sempre più vicina. Non vuole perderla. Quella notte no – notte unica, per questo motivo – non vuole perdere una simile meraviglia. Non la lascerà andare, fino a quando anche la stella non si sarà stancata.
Non sa ancora che a breve la stella si fermerà e che lui, assieme ad altre persone, scoprirà che nella grotta, la sua grotta, quella dove usava dar riparo al gregge, ci sono degli intrusi. Una donna, un uomo. Un bambino. Non sa ancora che la donna spera per il suo bambino qualcosa di speciale. Mi piace pensare che lei, Miriàm, abbia davvero pensato ciò che Erri De Luca ha scritto nel suo bel libro “In nome della madre”:
Finché dura la notte, finché la luce di una stella vagante è a picco su di noi, noi siamo i soli al mondo. Possiamo fare a meno di loro, anche di tuo padre Iosef che è il migliore degli uomini. Pensa: noi usciamo di qui all’alba del giorno e fuori non esiste più nessuno, né città, né esseri umani. Pensa: noi siamo i soli al mondo. Che felicità sarebbe, nessun obbligo all’infuori di vivere. Finché dura la notte è così.
Abìtuati al deserto, che è di nessuno e dove si sta tra terra e cielo senza l’ombra di un muro, di un recinto. […] Possa tu provare nostalgia di stanotte quando sarai nella loro assemblea, quando ti ascolteranno, possa tu guardare oltre la loro piazza, dove iniziano le piste. Abituati al deserto che mi ha trasformato in tua madre. Sei venuto da lì, dal vuoto dei cieli, figlio di una cometa che si è abbassata fino al mio gradino.
Auguri dai Consiglieri di Pagine.