di Fabrizio Valenza
I Miserabili è solo una storia, un racconto che un uomo di due secoli fa ha desiderato comporre, probabilmente per celebrare qualcosa che egli stesso, nella sua travagliata vita, si trovò ad affrontare di persona. Non voglio però soffermarmi sulle motivazioni che spinsero Hugo a scrivere questo libro, quanto piuttosto su ciò che esso mi spinge a considerare in quanto finzione letteraria.
Il dato fondamentale di un romanzo o di un racconto è la cosiddetta sospensione dell’incredulità. Tramite l’abilità stilistica e narrativa dell’autore, la narrazione porta il lettore a dimenticare lo sforzo della lettura, a scordare che sta leggendo qualcosa di inventato per entrare in una sfera spazio-temporale differente, all’interno della quale i personaggi e i fatti raccontati sono reali e vivono esattamente come me e come voi, per incontrarsi con il lettore. Il lettore, da parte sua, deve concedere e concedersi questa capacità di sospendere la propria incredulità e lasciarsi trasportare. Così facendo, si realizza l’incontro tra un uomo o una donna del XXI secolo e il cuore e la mente d’un uomo del XIX secolo.
Ne I Miserabili la sospensione è raggiunta e confermata in modo sorprendente.
Per fare un solo esempio, attraverso il protagonista fondamentale e assoluto di questa celebre storia, Jean Valjean assume pagina dopo pagina le fattezze di un uomo reale, il suo ritratto e le sue decisioni vibrano perché è un uomo vero, vibra come la coscienza dell’uomo moderno e contemporaneo, sempre più diviso in se stesso, alla ricerca di un orizzonte definitivo. Chiunque legga le sue vicende le sente presenti e quotidiane.
Valjean è un uomo che soffre per delle ingiustizie, ma è anche uno che le sue ingiustizie se le crea. È insieme vittima e carnefice.
Vittima della rozzezza di un mondo che fa sempre troppa fatica a capire la fragilità dell’uomo.
Carnefice di se stesso, nel tentativo continuo di trovare un modo per confermare la propria estraneità a un mondo giudicato come malvagio.
Quando arriviamo alla fine del romanzo e vediamo che per lui non c’è un happy ending, lo sentiamo ancora più vero e vivo. Quell’uomo che ha sofferto per una vita intera alla ricerca della giustizia, trovandola solo a sprazzi, quell’uomo che ha cercato l’amore, trovandolo solo in certi momenti, quell’uomo che muore quasi abbandonato… siamo noi, e ci troviamo a soffrire assieme a lui. Chiunque tra noi vorrebbe raccontarsi la bella storia che vivremo sempre felici e contenti, ben sapendo che non sarà così. Anzi, sappiamo che arriveremo alla fine della vita trovandoci in una situazione che è esattamente quella di Jean Valjean: ci sentiremo soli e abbandonati. Magari non sarà così – oggettivamente – ma lo sarà soggettivamente.
La storia dei Miserabili è, innanzitutto, la storia di Jean Valjean e delle sue miserie personali: in poche parole è la storia di ogni essere umano che cerca di essere quel che è. Nel farlo e nello scoprire se stesso, passa buona parte della vita a giudicarsi per ciò che ha scoperto, anziché riuscire ad amarsi fino in fondo.