Attingo a piene mani da un articolo uscito ieri sull’FT, un pezzo a più voci che racconta come Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Europea, responsabile del settore Industria e Imprenditoria, stia consultando da mesi i vari big player del lusso europeo in modo da creare un sistema organico che possa godere di una rappresentanza a Bruxelles e, quindi, in Europa. (Potete leggerlo qui: http://www.ft.com/intl/cms/s/2/77d61f80-80d5-11e2-9fae-00144feabdc0.html#axzz2M62oWgl6 )
Il lusso, soprattutto se si guarda ai gruppi francesi LVMH e PPR, ma anche alle grandi aziende italiane come Prada, Zegna, Tod’s, incide non poco sul fatturato del Vecchio Continente, soprattutto per quanto riguarda le esportazioni. “La moda e il turismo sono due settori chiave per l’Economia europea – ha detto Tajani al Financial Times -; rappresentano parte della soluzione per la crescita del continente”.
Il primo passo è stato quello di creare un settore di categorizzazione industriale a livello europeo separato da quello delle industrie tessili e di abbigliamento e si riferisca solo alle aziende che producono beni di lusso. Il secondo sarà quello di affrontare in modo sistematico e coeso i problemi e le esigenze dei conglomerati del lusso, ma anche delle aziende del lusso in generale.
Quella ipotizzata da Tajani, a conti fatti, non può che rivelarsi una strategia vincente, sempre che l’iniziativa assuma contorni più definiti e si concretizzi.
Ma quali sono i problemi che questi giganti del lusso possono avere, vi chiederete?
Due su tutti: la contraffazione, che rosicchia parte dei margini anno dopo anno; i dazi doganali, che rappresentano un ostacolo non indifferente nell’approccio a determinati i mercati. Basti pensare che se in Cina un prodotto italiano costa in media il 20-25% in più rispetto a Milano, in Brasile il prezzo sale del 50-60%.