Finalmente ci siamo arrivati, al fondo. Con un bel tonfo sordo la nave Italia, da tempo affondata, ha esaurito la sua corsa verticale e si è adagiata sul fondale.
Manca solo che la fine sia sancita dalle elezioni, ormai imminenti.
In una società di valori prettamente consumisti il grande non-detto, l’elefante bianco nel salotto è la forza regolatrice del denaro, in tutti i campi.
La politica, paradossalmente, è l’ambito maggiormente dotato di foglie di fico: tanti valori gli ruotano intorno e si sovrappongono, di volta in volta, come veline trasparenti, al denaro.
Alla fine però, sempre di soldi si parla. Perché occupazione, opportunità per i giovani, riforma delle tasse, sgravi per le aziende sono tutti sistemi per dare più soldi alle persone, oppure, spostando il “più” come in un’equazione, dare soldi a più persone.
E allora perché girarci tanto attorno?
Dopotutto un altro elefante bianco che tutti fanno finta di non vedere è l’ignoranza.
Sappiamo tutti leggere, ma pochi sanno seguire il filo di un’argomentazione, pochissimi sanno come verificarla ed, eventualmente, confutarla.
Il peso dell’emotività e del disfattismo è oggi enorme, aggravato dal fatto che l’essenza vitale del sistema che ci è stato insegnato a idolatrare, il denaro, sta velocemente scomparendo dalle tasche di tutti.
Quindi perché ti dovrei convincere, caro elettore, parlandoti di manovre, progetti, orizzonti quando ti è stato insegnato che 1) I politici sono tutti corrotti e mentitori 2) Sentire è molto meglio che ragionare?
Meglio, molto meglio, e magari anche più onesto, dirti: caro elettore, ecco qua dei soldi, votami. E specifichiamo, prima che si parli di voti di scambio: erano quelli che hai dato al governo precedente, il cui lavoro ci accingeremmo a disfare in caso ci votassi.
E siccome ogni favola ha bisogno di un nemico, ti butto lì anche una bella ipotesi di copertura finanziaria: li prendiamo da quelli che portano i soldi in Svizzera! Non alle Cayman, in Svizzera!
Ricordo quando da piccolo guardavo film di sommergibili nella seconda guerra mondiale. Mi stupiva quel senso di pace pre-tragedia su cui i registi giocavano; il momento in cui il sottomarino rimaneva adagiato sul fondale. Un silenzio imbarazzato durante il quale ci si guardava negli occhi, in attesa della rinascita o, più probabilmente, della fine.